Arnaud Demare ha corso facendo catenaccio. Rubo questo termine al calcio: la squadra che fa catenaccio è quella che gioca prettamente sulla difensiva, con quasi tutti gli uomini dietro la linea del pallone. L’obiettivo è quello di chiudere tutti gli spazi agli avversari per evitare di prendere gol. Ma nel ciclismo non è proprio così che funziona, anzi: soprattutto negli arrivi in volata può succedere di tutto, e bisogna essere sempre pronti ad agire di conseguenza.
Insomma, oggi la Groupama-FDJ è partita per l’ultima tappa per velocisti sperando che la fuga andasse in porto, così sarebbero stati assegnati meno punti per la maglia ciclamino e quest’ultima sarebbe rimasta al francese. La fuga va in porto, effettivamente, ma è il solo Damiano Cima che riesce a resistere sul gruppo che va a riprendere gli attaccanti sotto l’impulso della Dimension Data e della Bora-hansgrohe, che lavora alla grande per permettere a Pascal Ackermann di riprendere la maglia della classifica a punti. Demare è lì, e spera che non riprendano i fuggitivi: invece accade il patatrac, e così ogni tattica pianificata a tavolino va a farsi benedire. Cima si prende la vittoria, gli altri due fuggitivi vengono riassorbiti e il furbo Ackermann termina secondo, mentre il francese ottavo.
Demare l’ha persa malamente questa maglia ciclamino. Maldestramente, mi verrebbe quasi da dire. Avrebbe potuto giocarsela allo sprint, come se questa maglia non fosse sulle sue spalle, e invece non ce l’ha fatta. Dopo aver vinto la Milano-Sanremo 2016, con le varie dicerie che si sono abbattute su di lui (molti suoi colleghi lo accusarono di essersi attaccato alle macchine che erano al seguito della corsa), oggi il francese vede sfumare uno dei principali obiettivi di questa corsa rosa. Soffrire, superare le montagne, per poi buttare tutto al vento.
Da Santa Maria di Sala, Carlo Gugliotta per InBici Magazine