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L’INTERVISTA – CLAUDIO PASQUALIN: “IL CALCIO ITALIANO NON HA NULLA DA INSEGNARE AL CICLISMO”


L’avvocato Claudio Pasqualin, dopo una vita interamente dedicata al calcio, è diventato un grandissimo appassionato di ciclismo. Procuratore di alcuni dei calciatori che hanno scritto la storia del calcio italiano, come Gianluca Vialli, Alessandro Del Piero, Dino Baggio, Francesco Toldo e tantissimi altri, l’avvocato è salito in sella per affrontare due prove della Granfondo Internazionale Torino, con degli ottimi risultati. 

Nella chiacchierata che abbiamo fatto con lui, abbiamo potuto ragionare anche sulla situazione complessiva del ciclismo italiano. Riportiamo di seguito l’intervista rilasciata durante la trasmissione radiofonica Ultimo Chilometro, disponibile nel player qui in basso a partire dal minuto 34. 

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Avvocato Pasqualin, oltre ad essere un opinionista di calcio lei ha fatto delle grandi esperienze in questo senso con il ciclismo.

“Sì, e per me è un grande piacere ricordare che io abbia fatto tre Giri d’Italia nella squadra della Rai. Sono state delle esperienze fantastiche. Il mio ruolo era abbastanza particolare perché Marino Bartoletti mi aveva nominato ministro della cultura, del vino e della poesia. Qualcuno ricorderà la trasmissione che facevamo al mattino. Dovevo quindi produrre dei versi e leggerli guardando la telecamera. Mi è venuto in mente che all’epoca, era il 2010, dissi qualcosa alla maglia rosa, che era vestita da Ivan Basso. Lo guardai e gli dissi: “Se guardate lo sguardo di Ivàn è lo stesso dello Zoncolàn”. E in quella stagione vinse il Giro d’Italia”. 

Come è nato il suo amore verso il ciclismo?

“E’ un amore senile il mio verso questa disciplina perché fino a 55 anni giocavo a calcio, ma le articolazioni non reggevano i movimenti del calcio e così ho ripiegato sulla bicicletta. E’ stato veramente un amore grande perché ancora oggi non riesco a staccarmene, vivo la bici con passione non solo parlandone, ma facendo anche un paio di digressioni professionali, per esempio con Filippo Pozzato, che ho seguito per un periodo come procuratore. Mi sono appassionato sempre più verso il ciclismo e verso i ciclisti:  calciatori si gestiscono come attori di uno spettacolo, mentre i ciclisti sono più semplici e disponibili. Nel pallone se la tirano un po’ troppo”. 

Come è andata la Granfondo Internazionale Torino, alla quale lei ha partecipato come corridore?

“Ogni tanto ho la mania di mettermi il numero sulla schiena, l’ho fatto partecipando ai campionati italiani forensi e con i giornalisti, anche lì qualche titolo nazionale e mondiale è arrivato. Lo scorso fine settimana ho preso parte alla Granfondo Torino, valevole per gli European Master Games, e ho conquistato un argento nella cronometro e un bronzo nella prova in linea. Però è anche vero che alla mia età bisogna smettere di pensare ai podi e praticare la bici in maniera responsabile”.

Passando al ciclismo agonistico, in cosa si potrebbe migliorare?

“Che il ciclismo in Italia non funzioni è risaputo, perché bisogna renderlo più attrattivo verso gli sponsor che ne stanno ancora alla larga e costruire dei velodromi per riproporre le specialità della pista, ma anche la classificazione dei giovani e il modo di passare al professionismo deve essere rivisto. Non è possibile che da esempio per le altre nazioni europee adesso siamo scesi così in basso. C’è l’impegno di molti appassionati, in Federazione si danno da fare, ma ci vogliono dei mezzi che il Coni centellina sempre di più”.

E che cosa il ciclismo potrebbe attingere dal calcio per migliorare?

“Il nostro ciclismo può imparare poco dal calcio italiano perché quest’ultimo è soffocato dagli stranieri, c’è una esterofilia dilagante per la quale la Federazione non fa nulla. L’attrattiva del campionato italiano, inoltre, non è così convincente: la vendita dei diritti televisivi vale molto meno rispetto alla Premier League o altri campionati. Una volta noi disputavamo il campionato più bello del mondo, ora da noi si gioca in stadi fatiscenti, mentre all’estero ci sono dei gioielli. Non vedo cosa il calcio possa suggerire al ciclismo. Il calcio italiano non è proprio un esempio: per efficienza e attrattiva siamo superati da inglesi, spagnoli, tedeschi e francesi: siamo fuori dal podio”.

A cura di Carlo Gugliotta per InBici Magazine

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