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Daniele Nardello

NARDELLO: “IL CICLISMO È CAMBIATO, MA L’ITALIA È FERMA AL PALO…”


Daniele Nardello ha legato il suo nome al ciclismo prima sul sellino della bicicletta, adesso come esperto di abbigliamento tecnico. Con l’ex Mapei abbiamo fatto un viaggio tra l’equipaggiamento del corridore fino ad arrivare alle sue sensazione sull’imminente inizio del Giro 2021. 

Daniele, sei diventato una figura di riferimento per un marchio importante come Assos: quanto è importante avere i giusti materiali nel ciclismo di oggi?

Assos è un marchio diventato celebre nel mondo del ciclismo soprattutto per i pantaloncini e il fondello e, non a caso, sono sempre di più gli atleti che si riforniscono da noi. Circa quattro – cinque anni fa abbiamo venduto oltre mille fondelli nel circuito del professionismo. Si pensa sempre che nel ciclismo conti solo la bici, ma non è così… ci vuole tutto. Ricercare la migliore qualità in tutti i materiali è molto importante perché, quando stai  tante ore in bicicletta, occorre avere l’eccellenza di tutte le componenti. Noi studiamo un abbigliamento che vada bene per tutto, non solo per il ciclismo, ed è questo alla fine che fa la differenza”.

Com’è cambiata questa visione da quando correvi ad oggi?

“Assos la conosco da quando ero ragazzino. I materiali sono cambiati, è ovvio, si va sempre alla ricerca del miglior tessuto. Prima qualsiasi maglia trovavi andava bene, adesso giustamente si va alla ricerca della massima qualità”.

Nuovo regolamento ciclistico, cosa ne pensi?

“L’UCI dovrebbe guardare, in primis, alla sicurezza che è – e deve restare sempre – la cosa più importante, senza andarsi a perdere in queste cose. Poi ci sono cose che possono essere giuste, come la posizione, perché magari i ragazzini potrebbero emulare e correre dei rischi. Ma i corridori sono professionisti: se mettiamo dei limiti lo dovremmo fare anche in Formula Uno o nella Moto Gp, ma lì non vedo delle limitazioni. Essere professionisti significa saper andare in bici, ecco perché mi sembrano cose un po’ assurde. Anche per quello che riguarda le borracce vorrei vedere quelli dell’UCI quante volte vanno dietro alle gare e se hanno mai visto una borraccia per strada. Non ci sono perché sono dei gadget per i tifosi, io stesso da ragazzino andavo alle corse per portarle a casa. L’UCI dovrebbe guardare altre cose e non queste sciocchezze, dovrebbe guardare, come dicevo, la sicurezza. Ripenso alla caduta di Evenepoel l’anno scorso, lì si doveva intervenire, non perdere tempo con la misura dei loghi, dei calzini e tutte queste piccolezze. Se al Giro faccio la maglia gialla perché al Tour non posso farla verde? Faccio l’esempio della MotoGP, quanti corridori hanno caschi dipinti, è tutta immagine per lo sponsor. Queste cose andrebbero cambiate, non andare a mettere sempre degli inutili paletti nel ciclismo, altrimenti corriamo ancora con le bici di 70 anni fa…”.

Bici e motori, la nuova frontiera del doping, come si tampona questa falla?

“Per il momento ci sono solo tante supposizioni perché, fino a prova contraria, nel professionismo ancora nessuno è stato trovato; negli amatori qualcuno sì, ma tra i pro nessuno. E allora, fino a che non trovi qualcuno in flagrante, non puoi accusare nessuno. Come hanno accusato ancora recentemente Armstrong dicendo che usava il motorino al Tour. Guardando le immagini si può anche avere la sensazione di una situazione un po’ anomala, ma non c’è l’evidenza. Fino a che non si trova nessuno non si può puntare il dito ed è una cosa che, personalmente, mi dà fastidio perché senza certezze è inutile accusare. Si parla anche delle ruote ad alto profilo tipo kerser, quelle in cui non vedi il calore, però sono tutti pensieri. Si può pensare, è vero, si dicono tante cose ma al momento non ci sono certezze. L’UCI dovrebbe spendere più tempo in questo, non escludere un corridore per una posizione o una borraccia…”.

Quali sono le prime certezze che ti ha regalato questo inizio di stagione?

“Che stiamo vivendo un cambio generazionale e si è modificato il ‘modo di correre’ grazie ai fenomeni delle classiche come Van Der Poel e Van Aert. E lo stesso nei grandi giri vale con ragazzi come Pogacar e Roglic, che dominano qualsiasi corsa. Hanno cambiato il modo di correre, non più d’attesa ma d’attacco, ed è più bello”.

Team Qhubeka Assos – photo Roberto Bettini/BettiniPhoto©2021

Passando all’attualità: quale fotografia puoi fare del nostro ciclismo in vista dell’ormai imminente inizio del Giro d’Italia?

“Nel ciclismo italiano c’è poco, tolto Nibali. Ma questo è dovuto al fatto che la nostra federazione italiana non ha investito abbastanza nei giovani. Faccio un esempio: da quest’anno collaboro con una formazione della zona, la Valceresio, che ha tanti ragazzi che fanno MTB e adesso anche tanti che fanno anche strada, facendo multidisciplina. Sono ragazzi dai 6 ai 12 anni, li porto fuori per divertirsi e vedo che di squadre non ce ne sono più. E’ in questo che la Federazione dovrebbe aiutare di più perché purtroppo, a livello economico, le spese sono tante, si fa fatica a trovare soldi e questo non aiuta. Perciò dovremmo partire dalla base e cambiare la mentalità, perché i ragazzi, quando arrivano in Juniores, sono già professionisti e questo è uno degli sbagli del ciclismo italiano. I ragazzi a quell’età dovrebbero pensare a divertirsi, questo problema è figlio del fatto che, dietro alle società, manca una Federazione e i team chiedono i risultati subito per poi andare a cercare sponsor, purtroppo è una catena…”.

Wout Van Aert (BEL – Team Jumbo – Visma) – Mathieu Van Der Poel (NED – Alpecin – Fenix) – photo Nico Vereecken/PN/BettiniPhoto©2020

A questo si può legare il fatto che molti ragazzi non si avvicinano più alle corse o desistono dopo poco?

“La disciplina del ciclismo è un bellissimo sport. Io sono favorevole alla multidisciplina perché, facendo Mountain Bike, puoi fare i fuori strada, le frenate e invogli il ragazzo ad andare in bici. Se lo fai girare solo in pista o in strada il ragazzino si annoia oltre al fatto che manca la sicurezza. Io da genitore ad oggi, vedendo tutto il pericolo che c’è sulla strada, non so se sarei stato favorevole. E questo è un altro dei fattori che non fa avvicinare i giovani al ciclismo perché dietro c’è anche la famiglia che non approva vedere i figli alle corse ”

Giro d’Italia 2020 – 103th Edition – 13th stage Cervia – Monselice 192Êkm – 16/10/2020 – Joao Almeida (POR – Deceuninck – Quick Step) – Vince – photo Luca Bettini/BettiniPhoto©2020

Ti aspetti una corsa rosa dominata dalla nouvelle vouge come nella scorsa stagione?

“Vedere una corsa rosa con i soliti nomi di classifica che ammazzano il giro non sarebbe l’ideale. Invece i giovani catalizzano molto di più l’attenzione, per questo spero in una corsa incerta fino all’ultimo, senza grandi padroni“.

In conclusione: guardando la corsa rosa dove credi si possa decidere la gara?

“Il Giro si è sempre deciso nell’ultima settimana. Nelle prime due settimane puoi capire chi non potrà essere protagonista fino alla fine per la vittoria della corsa, ma nelle ultime tappe capisci realmente chi può vincerla. Purtroppo adesso il ciclismo sta cambiando: meno spendi all’inizio, più energie hai alla fine per cui chi vuole arrivare fino in fondo cerca di gestirsi in questo modo”.

a cura di M.M. ©Riproduzione Riservata – Copyright© InBici Magazine

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