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Stefano Del Re

STEFANO DEL RE, IL CICLISMO VISTO DALL’OFFICINA MECCANICA


Il ciclismo è fatto di tante professionalità, alcune delle quali abituate a lavorare nel “dietro le quinte”, ma non per questo meno importanti e preziose. Una di queste figure è quella del meccanico. Lo racconta magistralmente Stefano Del Re nel suo libro “Dietro le quinte nel mondo delle due ruote”.

Stefano, quando ha deciso di condensare tutte queste emozioni in un libro?

“Il mio lavoro parte da una base di passione abbinata ad un’esperienza da ex corridore che mi ha portato a mettere al servizio di altri quello che ho imparato ‘sul campo’. Il meccanico non è solo colui che si occupa del mezzo, ma può diventare qualcosa di più. Si può infatti instaurare un rapporto di amicizia anche importante con i corridori; e loro ti manifestano il loro apprezzamento quando si arriva ad una vittoria o ad una bella performance. E’ questa, in fondo, la sublimazione del nostro lavoro. Già agli inizi della mia attività, ad esempio, con Moreno Argentin ho instaurato un ottimo rapporto d’amicizia, da lì in poi mi sono appassionato a tutti i corridori con i quali ho lavorato. Poi è chiaro che non potevo scrivere aneddoti di tutti, nel libro ho voluto sviscerare alcune storie per raccontare, da una prospettiva inedita, i grandi protagonisti del pedale”.

In un passo del suo libro  lei dice: ‘Così nell’estate nel 1971 fui accompagnato nell’officina meccanica di Sergio Doganieri anche lui giudice di gara…’. Quanto è stato importante per lei avere accanto queste figure?

“E’ stato decisivo. All’epoca il ciclismo era fiorente soprattutto a livello giovanile. All’inizio non ero un grande appassionato, è stato un fuoco che è nato verso i 18\19 anni. Poi la passione vera e propria è nata quando mi sono messo a fare il meccanico e l’incontro con certi personaggi ha trasformato un sogno in realtà”.

Cos’era il manico di scopa?

“E’ stato un oggetto che mi ha salvato (ride, ndr). All’epoca non era come oggi, si viveva in modo più garibaldino, nel senso che alcune trasferte le facevamo con mezzi piccoli perché dovevamo rispettare dei costi. Mi trovai a dover aiutare un corridore che aveva il telaio rotto e mi ricordai di una esperienza che avevo fatto con una mia bicicletta anni prima: introdussi un pezzo di legno a forza e arrivai quasi in fondo chiudendolo poi con delle fascette. Sono cose che capitavano spesso”.

Nel libro parla anche di una tappa che è entrata nella mitologia del ciclismo, quella del Gavia dell’88: non dev’essere stato facile gestire una tappa così da tregenda…

“Partiamo da una premessa: le cose a quei tempi erano molto diverse rispetto ad oggi, sotto tutti i punti di vista. Con i mezzi e gli indumenti moderni e la possibilità di avere tante ammiraglie, una tappa del genere si può anche fare. Come si corrono al Tour tappe con 38 gradi, si poteva fare anche una tappa come quella. Ma a quei tempi era diverso e nessuno si aspettava una tappa del genere, fu una nevicata eccezionale. Noi quando arrivammo vicino allo scollinamento c’erano già 10 centimetri di neve, tanti corridori volevano salire in macchina. Il Gavia ha pendenze importanti, non fu una giornata facile, in discesa ad esempio badammo più alla nostra incolumità…”.

Lei parla della Roubaix, ma meccanicamente com’è una corsa come quella sul pavè?

“La Roubaix è una corsa affascinante, la considero con il Fiandre la corsa per antonomasia. Guardando il ciclismo di oggi è una delle poche corse che ancora mi diverte anche se adesso c’è troppa tecnologia. Se si guardano i grandi giri adesso le fughe vengono riprese puntualmente nel finale perché i corridori possono controllare tutto tramite i computer che hanno. Oggi manca la fantasia. La Roubaix ed il Fiandre, invece, per il tipo di percorso consentono ancora il divertimento, sono corse che manterranno sempre un fascino particolare”.

Parliamo dei corridori con i quali ha lavorato…

“Fondriest era già Campione del Mondo e per me fu un privilegio lavorare con lui. Purtroppo quell’anno era giù di forma perché aveva trascorso l’inverno a festeggiare la maglia iridata; fu una stagione un po’ buttata via che lo portò a non gestire al meglio la maglia, ma non per colpa sua ma per tutto quello che gli gravitava intorno. Ne parlammo quando era al Roslotto e anche lui lo riconobbe. In più ci si misero anche i problemi alla schiena. Cipollini è stato il più grande velocista di tutti i tempi, sotto tutti i punti di vista. Sono stato con lui per due stagioni e fu giusto così. Mi è spiaciuto invece restare solo un anno con Bettini. Con Ivan Basso, infine, ho costruito un ottimo rapporto, sono stato felice di lavorare con lui, una pasta di ragazzo, così come Michele Bartoli”.

Liege Bastogne Liege 1997 – 83rd Edition – Liege – Ans – 262 km – 20/04/1997 – Michele Bartoli (ITA – Team MG Boys Maglificio – Technogym) – photo Roberto Bettini/HR/BettiniPhoto©2018

Cosa ne pensa del “doping meccanico”?

“Non lo so, sono fuori dal giro da un po’ di tempo, se ne dicono tante. Onestamente sarebbe una grande sconfitta per questo sport, una cosa del genere sarebbe peggio del doping farmacologico. Io sono sempre stato al mio posto, come dico nel libro, mi sono sempre limitato a lavorare nell’ambiente tecnico”.  

In conclusione: come vede da addetto ai  lavori l’evoluzione del ciclismo?

“E’ un’evoluzione legata più al punto di vista commerciale che tecnico: i freni a disco, ad esempio, non portano vantaggi al mezzo. Il mondo del ciclismo, specialmente su strada, doveva dare un impulso all’aspetto commerciale e da questo punto di vista è stato fatto centro, ma di fatto certe presunte evoluzioni non sono un vantaggio per il corridore. Faccio un esempio: Ciccone al Giro ha forato e per fare veloce gli è stata data la bici di scorta, dopo poco è caduto ed ha rovinato la bici e si è trovato con due mezzi fuori uso. Noi avevamo la macchina con l’oblò e riuscivamo a sistemare le bici subito. Anche perché cambiare mezzo durante una gara per un corridore può essere destabilizzante. Questo per far capire quanto la simbiosi tra mezzo meccanico ed atleta erano importanti. Le innovazioni di adesso favoriscono più le esigenze delle aziende che quelle dei corridori”.

a cura di M.M. ©Riproduzione Riservata – Copyright© InBici Magazine

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