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DIETE, I PERICOLI DEL “FAI DA TE”


Quando le mode prendono il sopravvento sulle evidenze scientifiche: guardatevi dalle auto-diagnosi, dal “passa parola” e dai “guru” da social.

La moda, si sa, rappresenta una forza trainante che – una volta innescata – si rivela spesso in grado di condizionare persone, mezzi e risorse, spingendole verso una determinata direzione a prescindere da un reale e concreto vantaggio in merito.

Questo – oltre a rivelarsi vero nei confronti di capi di abbigliamento, prodotti tecnici o specifiche attrezzature – si rivela altresì vero anche per quanto riguarda il mondo della nutrizione e di conseguenza dell’integrazione, della supplementazione e della nutraceutica.

Infatti, molto spesso assistiamo a soluzioni “rivoluzionarie” adottate sull’onda di quanto fatto da soggetti particolarmente in vista: atleti professionisti, soggetti appartenenti al mondo dello spettacolo o più semplicemente opinion leader nel contesto di una squadra o di un ambito agonistico, in assenza di reali basi scientifiche o di reali riscontri che non siano le mere “sensazioni” riferite dai loro promotori.

E così, improvvisamente, a diverse ondate, troviamo vere e proprie epidemie di presunte intolleranze al lattosio celiachia, gluten sensitivity solitamente auto-diagnosticate in assenza di qualsiasi evidenza medica e fortunatamente auto-risolventi in quanto – finita la moda – tutto generalmente tende a tornare alla condizione iniziale.

Con dinamiche simili è possibile assistere all’ascesa e alla successiva caduta dei consumi di integratori, supplementi e prodotti nutraceutici che, a volte, sono semplicemente utilizzati fuori contesto (ovvero non per le applicazioni nei cui confronti mostrano efficacia), mentre altre si rivelano essere praticamente inutili, ma nonostante tutto periodicamente vengono usati in gran quantità.

Anche se da un lato è comprensibile che il desiderio di migliorarsi conduca fuori strada portando a non accettare che magari un atleta professionista oppure un compagno di squadra sia più forte in quanto fisicamente superiore o meglio allenato e quindi inizia la ricerca del “segreto” alimentare  o “nutraceutico”, dall’altro occorre interrogarsi sui potenziali rischi derivanti da alcune di queste condotte, che non sempre si rivelano innocue.

A questo proposito risulta molto interessante riflettere su due tra le più famose “tendenze alimentari” che hanno sofferto di queste “dinamiche” negli ultimi anni, l’intolleranza al lattosio e quella al glutine (a volte proposta come vera e propria celiachia mentre altre semplicemente come gluten sensitivity).

L’intolleranza al lattosio viene ipotizzata generalmente dal medico o dal nutrizionista sulla base di precisi sintomi gastro-intestinali ed è dimostrabile mediante un esame diagnostico chiamato Breath test al lattosio che permette di formulare anche un giudizio di natura quantitativa che guida la diagnosi, questa volta di esclusiva pertinenza medica.

Dietro testimonianze di presunti incrementi di performance o miglioramenti fisici di diversa natura, spesso accompagnate da argomentazioni più o meno filosofiche del tipo “l’uomo è l’unico animale che assume latte dopo lo svezzamento (se è per questo è anche l’unico animale che fa attività fisica per allenarsi e che usa strumenti tecnici di locomozione come la bicicletta…), l’astensione dal lattosio viene periodicamente proposta anche a soggetti che non soffrono di un reale disturbo e che spesso e volentieri non hanno nessun concreto beneficio se non quello ascrivibile in un primo momento all’effetto placebo.

Ma quali possono essere i problemi derivanti da tale condotta? Prevalentemente di natura carenziale, dovuti innanzi tutto a una minore assunzione di proteine dall’alto valore biologico che – contrariamente ad altri prodotti di origine animale (come la carne e il pesce) e alcuni di origine vegetale – si mostrano prive di purine (molecole piuttosto problematiche se assunte in eccesso in quanto alla base del carico di acido urico dovuto al consumo di alimenti che le contengono). Ma, oltre alla carenza proteica, possono essere favoriti altri stati carenziali a carico del calcio e soprattutto della vitamina D.

Che dire del glutine? Innanzi tutto la celiachia è una patologia che viene sospettata in base a quadri sintomatologici piuttosto caratteristici e viene diagnosticata mediante specifici esami ematochimici, valutazione endoscopica e relativa biopsia; la gluten sensitivity invece può sussistere anche in assenza di tutti questi elementi e viene quindi solitamente diagnosticata per esclusione, andando ad escludere con opportuni test tutte le malattie che potrebbero fornire sintomi simili.

Anche in questo caso l’auto-diagnosi e l’astensione dal consumo di prodotti contenenti glutine in assenza di un percorso medico strutturato comporta una serie di problematiche piuttosto importanti, questo anche non considerando l’elevato costo dei prodotti senza glutine ingiustificato per chi non realmente affetto.

Innanzitutto, una volta sospeso il consumo di glutine, se si volesse dimostrare con i suddetti test l’esistenza di una patologia sarebbe necessario consumarlo nuovamente fino all’eventuale ricomparsa dei sintomi, ritardando notevolmente un eventuale diagnosi, protraendo i tempi per avere un’assistenza efficace e causando, dopo un periodo di eventuale relativo benessere, ulteriori sofferenze.

In secondo luogo è necessario sapere che molti prodotti senza glutine sono formulati aggiungendo quote importanti di grassi per la necessità tecnologica di sopperire all’effetto amalgamante/addensante del glutine, questo ricordando che – in quanto proteina – il glutine ha meno della metà delle calorie proprie di sostanze di natura grassa, è in grado di esercitare una superiore azione dinamico-specifica (capacità di richiedere calorie per la digestione/assorbimento) e contribuisce a ridurre l’indice e quindi la risposta glicemica che si sviluppa in seguito all’assunzione di un alimento. La somma di questi effetti spesso si traduce in una maggiore tendenza nell’acquisire peso da parte di soggetti che consumano una dieta priva di glutine.

Ultimo – ma non meno importante – elemento, recenti pubblicazioni scientifiche hanno correlato la dieta agglutinata allo squilibrio nelle popolazioni batteriche intestinali dei soggetti presi in esame, configurando un vero e proprio caso di disbiosi intestinale. Ovviamente questi effetti negativi sono più che giustificati per soggetti che realmente non possono consumare glutine in quanto celiaci o affetti da gluten sensitivity, ma non ha alcun senso da parte di un soggetto realmente non affetto correre questi rischi per presunti benefici (da nessuno mai dimostrati) nella performance o nella condizione fisica.

Questa essenziale disamina dovrebbe aver permesso di chiarire come le mode e il “fai da te”, molto spesso finiscono non solo con il rivelarsi inutili, ma spesso anche potenzialmente dannose. Il consiglio dei professionisti della salute accreditati per la nutrizione (Medico, Biologo e Dietista) e l’aderenza a eventuali percorsi medici strutturati costituisce la sola vera solida garanzia di sicurezza, efficacia e utilità per l’utente finale.

a cura del dott. Alexander Bertuccioli per iNBiCi magazine

chi è Alexander Bertuccioli: Medico Chirurgo, Biologo nutrizionista Perfezionato in Nutrizione in Condizioni FisiologicheDISB – Scuola di Scienze Biomediche, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”European Sport Nutrition Society ESNS Fellowship Comitato scientifico Associazione Italiana  Fitness e Medicina –Comitato scientifico Federazione Italiana  Fitness

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