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DONNA INBICI



Dopo 17 anni si torna a parlare di un mito della discesa italiana: Giovanna Bonazzi, medaglia d’oro agli ultimi Mondiali Master di Downhill in Val di Sole

 

Il 2016 è stato un anno particolare per la mountain bike, in quanto anno olimpico. Ma il 2016 è stato anche l’anno del Mondiale di Downhill in Val di Sole. E sulla pista di Daolasa sono stati assegnati anche i titoli Master. Gli italiani hanno fatto grandi cose con Corrado Herin e, manco a dirlo, con Giovanna Bonazzi. Ed è di lei che vi parleremo.

Forse non tutti sanno che la “Giò” è stata, prima di essere downhiller, una valida atleta del cross-country, nella cui disciplina ha vestito anche la maglia di campionessa italiana nell’epoca d’oro della storia italiana della MTB. Ha fatto parte della prima spedizione azzurra ai Mondiali di Durango nel 1990, dove chiuse all’ottavo posto (ovviamente migliore azzurra). Lei che a Durango aveva il polpaccio con sopra una scritta rosa: “Italy”. Lei che ha dedicato una vita alla velocità in sella, lei che ha deliziato i tifosi e gli appassionati con una bici fatta in casa dall’inseparabile Princy, una bici che ancora lei oggi esibisce davanti agli appassionati, ovviamente con il Disk Drive, altro simbolo dei “good old times” della mountain bike.

Oggi la Giò non è più un’atleta professionista ma, ciò nonostante, seppur con pochissime ore di allenamento alle spalle, dopo 17 anni di inattività, si è portata a casa la medaglia, ovviamente d’oro, nella categoria femminile ai Mondiali di Daolasa, Val di Sole. Una medaglia che si aggiunge alle più prestigiose ottenute al Ciocco nel 1991 e a Métabief nel 1993 (il mondiale migliore della storia per i downhillers italiani), oltre ai due bronzi ottenuti negli Stati Uniti nel 1994 e in Germania nel 1995.

Chiusa la carriera, si è immersa totalmente nell’universo famiglia-lavoro. Una famiglia a cui è ovviamente legatissima e un lavoro, nella sua gelateria a Verona che, se c’era bisogno di conferme della sua competitività, le ha regalato anche il titolo di miglior gelato europeo. A buon intenditor poche parole.

 

Giovanna, ci racconta come è stato schierarsi al cancellato di partenza di un Mondiale (questa volta Master, n.d.r.) dopo 17 lunghi anni di inattività?

Dal  mondiale di Are nel 1999 non avevo più le condizioni necessarie per fare l’atleta, mancavano tutte quelle componenti che ti permettono di essere al 100%. Forse mancava anche la motivazione, non mi vergogno a dirlo. Ho pedalato pochissimo in questo periodo, soprattutto su strada, in un anno non coprivo più di 200 km: ho detto tutto. L’anno scorso mio figlio Eddy ha iniziato a fare BMX e mi sono aggregata, solo per fare movimento. Ma la svolta è arrivata a maggio: con Eddy e mio marito Roberto abbiamo provato le E-Bike ed è stato amore a prima vista! Poi ho ritrovato Bruno Zanchi e Pippo Marani, che mi ha convinto a rientrare al mondiale Master. In seguito ho ritrovato Camilla Bertossi (che da quando è diventata mamma in bici ci va pochissimo) e le ho proposto di andare in Val di Sole per il mondiale: io nella DH, lei nell’XC. Dopo essere stata a Daolasa per provare il percorso ho poi incontrato una ex avversaria, Ivana Sparano, che mi ha spronato e mi ha accompagnato nella prova del percorso. La Black Snake (il percorso del mondiale) non perdona!

 

Giovanna Bonazzi con il marito Roberto e il papa Tito  

 

 

Un’apparizione destinata a rimanere tale oppure c’è un programma di gare per il 2017?

Al momento non ho nessun programma per il 2017 anche se, visto che ho ricominciato a muovermi, sto cercando di fare un po’ di attività un paio di volte a settimana. Con il lavoro che ho, così concentrato d’estate e durante i fine settimana, riuscire a partecipare ai mondiali è già stato davvero un impegno colossale.

 

In una sua recente intervista lei ha dichiarato che in Val di Sole ha trovato, anzi ritrovato, il suo ambiente. Come se il tempo si fosse fermato ad aspettarla. Giusto?

E’ stato fantastico! La ‘mia’ Lapierre DH team (prestatami per l’occasione da Alan Kalja e Romano Favoino) aveva bisogno di una seria messa a punto e Pippo Marani ha chiamato Paolo Caramellino (ex stella della DH) per aiutarmi. In un attimo la mia bici era pronta. Quando smisi l’attività per me fu durissima uscire dal “giro”. Qui ho davvero ritrovato il “mio ambiente” ed è stato fantastico.

 

Ci racconti la sua gara…

Sinceramente puntavo al titolo: “quante cinquantenni vuoi che si buttino giù da lì?” mi sono detta. Pochi giorni prima Camilla Bertossi aveva vinto il titolo nell’XC con una bici che non era nemmeno sua. Dovevo fare il risultato anche io! Ho provato il percorso con Ivana e con Beatrice Migliorini (figlia del grande “Miglio”) per affinare la guida a ridosso della gara. La gioia più grande è stata abbracciare mio marito e mio figlio dopo l’arrivo: non mi avevano mai visto in azione se non in qualche foto e video.

 

Val di Sole 2016 è stato il quarto mondiale italiano, dopo il Ciocco (dove lei vinse l’oro), Livigno e ancora Val di Sole. Fatte le dovute proporzioni, i ritorni (vincenti) di Bonazzi e Hérin hanno fatto più “rumore” dei risultati della nazionale. Perché secondo lei?

Fa un immenso piacere sapere che siamo sempre nei cuori e nella memoria di chi magari da bambino ci vedeva correre. Erano anni che non mi venivano a chiedere l’autografo. Purtroppo, dopo la fine degli anni ‘90, non ci sono stati più risultati eclatanti degli Italiani nella DH e probabilmente io, Herin, Migliorini, Zanchi, Caramellino e Bonanomi abbiamo davvero fatto la storia. Anche per questo sono veramente contenta che finalmente una giovane azzurra, Alessia Missiaggia, sia tornata ad indossare la maglia iridata a 25 anni dal Ciocco. Io sono cresciuta molto quando in Italia avevo delle avversarie formidabili come Linda Spiazzi e Daniela Gavasso che non mi facevano mai abbassare la guardia nemmeno nelle gare meno importanti. Le azzurre, a cui faccio un grosso in bocca al lupo, devono cercare di fare squadra e sfruttare al massimo questa possibilità di crescere insieme.

 

Quanto e cosa è cambiato nella Downhill rispetto agli anni ’90?

Non credo che la DH sia così cambiata. C’è stata un’evoluzione di mezzi e materiali. Le bici attuali permettono di arrivare maggiormente al limite grazie alle escursioni. Il tempo di Herin lo avrebbe proiettato, a 50 anni, nei Top 40! Questo significa che anche i “vecchietti” che avevano “manico”, ci sanno fare anche sui percorsi attuali, che richiedono meno doti ciclistiche (a mio avviso si potrebbe scendere quasi senza catena), ma elevate doti tecniche.

 

Ora facciamo un passo indietro e raccontiamo ai lettori come e quando ha incominciato a praticare MTB e, soprattutto, ci racconti da quale sport “arrivava”, perché i pionieri della Mtb si distinguevano proprio anche grazie al loro passato…

Iniziai nel 1988. Allora esisteva solo l’XC, accompagnando il “Princy” (che sarebbe diventato mio cognato) ad una gara a Bormio. La prima donna (Linda Spiazzi) si era portata a casa un bagagliaio pieno di premi e da lì è scattata la molla. Dopo 3 gare ho vinto il titolo italiano XC Bassano del Grappa. Nel ’91 ho fatto tutte e 2 le specialità vincendo 4 campionati italiani: velocità, cronometro, XC, 2 campionati Europei DH e combinata, poi un bronzo all’europeo XC e il mondiale DH.

 

 

Giovanna Bonazzi in azione

 

Poi è arrivato il primo mondiale della storia, a Durango. Forse l’evento che ha davvero proiettato la MTB in una dimensione davvero mondiale. Cosa ricorda di quella trasferta?

Ero emozionantissima solo per il viaggio: non ero mai salita su un aereo. Eravamo 15 atleti in tutto, di cui 4 donne: Maria Giulia Cannello, Patrizia Spadaccini, Paola Pezzo ed io. Per quasi tutti era la prima esperienza internazionale e quindi non sapevamo a che livello eravamo. Ricordo che dovetti convincere i tecnici della nazionale ad iscrivermi anche nella DH, poiché ero stata convocata come campionessa italiana di XC e forse avevano paura che potessi farmi male in una disciplina che non conoscevano. La bici era rigida, con una forcella ammortizzata con corsa di soli 30mm da montare solo per la prova di DH, che era uno sterrato velocissimo. In gara, a causa di un problema meccanico, staccai l’ottavo tempo assoluto. Chissà cosa sarebbe successo senza l’inconveniente! Nell’XC siamo partite tutte e 4 con la scritta ITALY sui polpacci, ricordo che Paola era partita molto bene, ma si ritirò per un guasto meccanico. Io, chiusi al 17° posto e fu motivo di soddisfazione.

 

Ora una domanda particolare: è vero che, prima dei Giochi Olimpici 1996, aveva fatto più di un pensierino per parteciparvi (ovviamente nell’XC)?

Il giorno dopo i mondiali di Metabief, il C.T. della nazionale ci comunicò che le Olimpiadi sarebbero state di XC. Inizialmente pensai di ricominciare con l’XC, d’altra parte 9 titoli li avevo vinti, poi l’amore per il gravity ha prevalso.

Vorremmo chiudere con un pensiero rivolto ad una persona che non c’è più. Siamo sicuri che il pensiero dopo l’ultima vittoria è andato a lui…

 

Claudio Princivalle, “Princy” per tutti, è stata una persona specialissima: mi ha fatto diventare maestra di sci e mi ha messo in sella. I primi anni, anche insieme a mia sorella Lucia, andavamo a fare le gare di cross country con il suo furgone. Mi faceva da meccanico e da cuoco, un tuttofare insomma. E se ho avuto una splendida carriera è grazie a lui.  Se n’è andato con un incidente stradale nel 2005. Questo Mondiale è sicuramente dedicato a lui. A questo proposito vorrei ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutato a ritornare in pista, con la speranza di non dimenticarmi di nessuno: mio marito Roberto e mio figlio Eddy, Camilla Bertossi, Luca Poltronieri, Ivana  Sparano, Fabrizio, compagno di allenamento, Cristiano, Bruno Zanchi, Stefano Migliorini, Paolo Caramellino con Olhins, Alan Kalja Romano Favoino, Antonio Rullo, per l’aiuto con la bici, Muflone, Lividini e tutti quelli che sono corsi ad assettarmi la bici, Paolo Mei per gli splendidi commenti, ma soprattutto un grandissimo grazie a Pippo Marani per averci coinvolto in questa splendida avventura e ad aver organizzato la legend dowhill.

 

a cura di Paolo mei Copyright © INBICI MAGAZINE

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