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E SE PRENDESSIMO ESEMPIO DAL CICLISMO?



La rinascita di questo sport, certificata dall’ultimo entusiasmante Giro d’Italia, è la metafora di un’Italia che, con etica e sacrificio, ha la possibilità di riscattarsi

 

 

Chi nutrisse dubbi sulla vitalità del ciclismo si riveda le immagini della gente che assiepava le strade del Giro d’Italia e non solo le tortuose strade che salgono alle mete epiche: Montecampione, Montegrappa, Zoncolan…

Ho avuto il privilegio di seguire le ultime tappe; mi ha impressionato la marea di gente assiepata ai lati della strada tra Gemona e Trieste, nell’ultima frazione.

Va bene, era domenica; ma in tutti i paesi attraversati – e la zona è abbastanza antropizzata – la popolazione era in strada per vedere il fugace passaggio dei ciclisti; una macchia di colore che a 50 km transitava davanti ai loro occhi.

Usando categorie sociali, possiamo dire di aver visto uno “stadio lineare” ma senza i problemi, le violenze e le polemiche tipiche degli stadi italiani.

Il tifo era “per tutti” e, comunque, chi incitava un corridore non correva il rischio di essere “processato” od offeso perchè “nemico”.

Uno stadio “rosa” con coreografie che sarebbe bello raccogliere in un libro fotografico, coreografie fatte  in casa solo per amore dello sport; bici di tutte le forme e dimensioni colorate di rosa; animali vivi o impagliati, vestiti di rosa; fiori giganti realizzati con piatti di plastica rigorosamente rosa shocking; nastri sulle piante; l’erba tosata per inneggiare al Giro.

 

 

 

Tra le altre mi ha colpito una bici realizzata da una stazione dei Vigili del Fuoco: una bici costruita con scale e manichette su uno sfondo rosa.

Oramai si corre il rischio di essere ripetitivi, nel ciclismo non c’è il nemico, si tifa in modo “globale”, si riconosce il campione, lo si “adotta”, qualsiasi sia la sua provenienza o nazionalità.

Ma, purtroppo anche il ciclismo annovera tra le fila dei suoi tifosi dei “cretini”.

Bene ha fatto Marino Bartoletti (complimenti! ampiamente meritato il premio “Ischia” al miglior commentatore sportivo nella sua quotidiana trasmissione di avvio della tappa: un appuntamento pieno di leggerezza ma con tanta cultura, dati, storie, valori; giornalisti così sono sempre più rari) ad istituire il “premio” al più “cretino”.

Ho partecipato ad un solo giorno alla scelta e devo dire che è stato difficile individuarne uno solo, perché, purtroppo, erano in parecchi a dimostrare il “peggio” di loro stessi.

Ho visto, ad esempio, uno pseudo-tifoso che, con un animale impagliato (una povera volpe), incitava un corridore o chi con maschere impossibili li infastidiva.

Ma l’oscar del “cretino” lo merita lo pseudo-tifoso che ha costretto a metter i piedi in terra a Francesco Manuel Bongiorno nella tappa dello Zoncolan.

 

Il Giro ha fatto emergere una nuova generazione di ciclisti di 23, 24 anni; il futuro è tra questi. Alcuni italiani, tra questi Fabio Aru, terzo in classifica finale. Uno scalatore sardo a cui le montagne non fanno paura.

E allora non ci sono problemi!?

Sicuramente no, ma molti di meno di quelli che hanno sport più ricchi e non di più di quelli di un paese che fa fatica a far emergere la speranza e la volontà di riscatto.

Non dimentichiamoci che molti commentatori ripetono che siamo un paese in grande difficoltà e non solo economica, ma morale; una crisi di classe politica e dirigente senza precedenti. Un paese che, oltre alle difficoltà occupazionali e di equa redistribuzione delle ricchezze, deve trovare un nuovo passo sul piano dell’etica e dei valori.

 

 

Eppure il ciclismo (non prendetemi per utopista o troppo innamorato del ciclismo) è una metafora in “positivo” di quello che dovrebbe essere il paese.

La fatica, l’impegno, come premessa per il risultato, onestà, rispetto dell’avversario, una scala valoriale, in cui etica e moralità sono al primo posto, il tifo non violento (a parte i cretini che non sono “molti”, ma per esibizionismo e qualche altra “patologia psicologica”, pensano che correre dietro ad un corridore in salita impegnato in uno sforzo notevole sia “incoraggiarlo”!).

Mi è piaciuto e plaudo al corridore che ha tolto gli occhiali ad uno di questi e glieli ha gettati nel bosco.

Archiviato un “grande Giro” con nuovi campioni, tanti tifosi convinti che non possiamo archiviare i problemi che ci sono, ma che sono comuni a molti sport, ma che ci fa dire che il ciclismo, e permettetemi di dire anche l’Italia, sono vivi.

 

Fonte  Roberto Sgalla Copyright © INBICI MAGAZINE

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