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E tu come la pensi?



Dopo il suo strabiliante successo alla Vueltail mondo del ciclismo si spacca: “ennesimo bluff” o prodigio della natura?

 

Il coraggio di Vincenzo Nibali vale “solo” il secondo posto. La Vuelta 2013 la vince Chris Horner. Ma sgomitano sui media di mezzo mondo i dubbi aspri sulle prestazioni strabilianti di questo “nonno terribile”, 42anni a ottobre e una carriera poco più che modesta alle spalle. E’ questo il verdetto di tre settimane di corsa che incollano sull’albo d’oro della kermesse spagnola il nome meno reclamizzato. All’indomani del trionfo, zampillano le domande e le ombre su questo americano che si scopre campione a ridosso della pensione. E il mondo del ciclismo, come sempre, si spacca in due.

 

Basta con la cultura del sospetto

 

Non è la prima volta che un atleta over 40 ottiene risultati agonistici di livello mondiale.

Se un pugile come George Foreman salì sul ring a 45 anni per difendere, con successo, la sua cintura mondiale, perché stupirsi dell’exploit di Chris Horner? Dino Zoff vinse il mondiale di Spagna a 40 anni, Josefa Idem, alle Olimpiadi di Londra, sfiorò la medaglia nella canoa alla venerabile età di 48 anni. Lo stesso Fiorenzo Magni, per restare nel ciclismo, vinse il Giro d’Italia del 1955, a 35 anni, surclassando un certo Fausto Coppi. E gli esempi potrebbero continuare ancora a lungo.

 

In realtà, come molti calciatori dimostrano (da Totti a Del Piero), una preparazione atletica scrupolosa abbinata ad uno stile di vita senza eccessi, consente di prolungare in maniera esponenziale la propria longevità agonistica.

L’anagrafe di Horner, con ogni probabilità, lo penalizza sul piano dell’esplosività atletica e della tenuta, ma di contro, gli garantisce l’esperienza per fronteggiare, con impeccabile perizia, tutte le situazioni della corsa. E in una Vuelta orfana di Contador e con valori tecnici appiattiti verso il basso, il suo successo non è un’eresia.

 

Si punta il dito contro le sue ascese “da marziano” sulle rampe verticali dei Pirenei, quando uno screening approfondito dei dati dimostra invece che le sue andature non erano poi così esagerate: in due tappe chiave della sua Vuelta (la 10ª e la 18ª), Horner è salito con una spinta tra i 6,1 e i 6,5 watt/kilo. Valori ottimi, ma non così impossibili: Armstrong e Pantani, ad esempio, arrivavano a 6,8, potenza che riuscivano a tenere su salite di 40 minuti a Giro e Tour. Qui le ascese di Horner ne duravano al massimo 20, e il distacco accumulato sugli inseguitori non è stato poi così oceanico.

 

Dopo la sua strabiliante vittoria alla Vuelta, i valori ematici di Horner, prelevati dopo le grandi imprese pirenaiche, sono stati analizzati dai più moderni ed avanzati laboratori antidoping. Un check-up rigorosissimo in grado potenzialmente di scoprire particelle infinitesimali di qualsiasi sostanza proibita. Nessuna di queste verifiche ha evidenziato anomalie e questa, ad oggi, deve essere considerata la prova regina della genuinità del suo trionfo.

 

video sintesi Angliru Vuelta 2013

 

Ma è difficile credere alla sua buona fede

 

I dubbi planetari sulla strabiliante prestazione di Chris Horner alla Vuelta 2013 non nascono dalla tignosa cultura del sospetto, ma dal rigore della scienza: il livello nel sangue del testosterone, l’ormone maschile che più condiziona le performance in termini di forza e potenza muscolare, tende infatti inesorabilmente a scendere dopo i 30 anni. In alcuni soggetti cala lentamente, in altri più velocemente, ma in ogni caso è certo che a 42 anni non si possono avere gli stessi livelli che si avevano a 20 anni. E comunque, ammettiamo pure che Horner sia un fenomeno assoluto, con livelli di testosterone rimasti intatti nei decenni: perché allora a 25-30 anni non vinceva le grandi corse a tappe e nemmeno le classiche?

 

Il profilo di una carriera quasi sempre nelle retrovie non può non generare scetticismo. A 42 anni suonati, dunque al crepuscolo della propria storia agonistica, un atleta non ha più nulla da perdere. A quell’età, si domandano i più diffidenti, può spaventare la minaccia di una squalifica a vita? E allora, perché non rischiare? Perché non concedersi, dopo una vita da comprimario, la gioia del successo, il gusto inebriante del podio, del bacio in stereo delle miss, dei titoli a sei colonne sui giornali di tutto il mondo? La teoria dell’esplosione tardiva, in questo caso, sa di smaccata presa in giro, perché la maturazione di un atleta può avvenire dopo diversi anni di attività, ma non all’ultimo miglio della carriera.

 

La discendenza genealogica, infine, non gioca a suo favore: Horner viene da quegli Stati Uniti in cui continuano alacremente le ricerche scientifiche di università e laboratori per migliorare le prestazioni. L’idea che Horner sia la cavia privilegiata di nuove formule prodigiose può forse sembrare fantascientifica, ma non può essere scartata così facilmente, davanti a simili prodigi. Si potrebbe aggiungere anche che Horner dal 2009 al 2011 ha corso insieme a Lance Armstrong, che ha difeso pubblicamente dalle accuse di doping. E che tutti i corridori americani della sua generazione (da Armstrong, appunto, a Landis, Leipheimer, Hamilton e Hinacapie) sono oggi reo confessi.

 

Fonte  Mario Pugliese  Copyright © INBICI Magazine

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