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GIANFRANCO JOSTI



Il decano dei giornalisti italiani celebra i campioni del passato e bacchetta i fuoriclasse del momento: “Froome è un vincente, ma non mi emoziona. Sagan? Bravo, ma i campioni passano alla storia misurandosi nei grandi Giri…”

 

Parlare di ciclismo con Gianfranco Josti è un po’ come riavvolgere il nastro della storia. Perché – con un curriculum di 30 Giri d’Italia, 20 Tour de France e 50 campionati del mondo – il decano dei cronisti sportivi è una sorta di enciclopedia vivente della bicicletta. Uno sport scoperto ai tempi memorabili di Gimondi e Merckx e lasciato, almeno professionalmente, con la morte di Pantani, a cui ha dedicato un libro-verità che resterà – ad maiora – una delle opere postume più interessanti legate all’epopea del Pirata: “Marco per me sarà sempre una ferita dolorosa – spiega Josti – e, ancora oggi, malgrado abbia dedicato a questo caso una lunga indagine giornalistica, resto con tanti dubbi e qualche certezza. Una di queste è che, in quegli anni, Marco dava fastidio a tanti e, dopo la squalifica di Madonna di Campiglio, molti devono aver brindato. Anche il gruppo – che gli era stato accanto al Tour del ’98 finendo quella corsa solo per rispetto di Pantani – in quel 4 giugno del 1999 gli voltò le spalle. Un’altra certezza è che Marco è morto da drogato, ma non è mai stato un dopato, perché – fino a prova contraria – quello di Campiglio non era un controllo antidoping, bensì uno screening a salvaguardia della salute degli atleti. Pantani, i controlli antidoping in carriera, piaccia o no, li ha sempre superati tutti…”.

 

 

Chris Froome – foto Bettiniphoto

 

 

Cosa resterà, ciclisticamente parlando, di questo 2017?

“Credo che il quarto Tour di Chris Froome meriti una menzione speciale, anche se del campione britannico mi impressiona soprattutto la sostanza, non certo la forma. Nel senso che, malgrado il palmares sontuoso, non mi pare – almeno per il momento – uno di quei fuoriclasse destinati a segnare un’epoca. Mi spiego meglio: il Pantani d’Oropa se lo ricordano tutti così come il Bugno dell’Alpe d’Huez. Di Froome, invece, nonostante i quattro Tour de France, io fatico terribilmente a ricordare un’impresa da tramandare ai posteri”.

 

Restando nel 2017, non si può non parlare – in sede di bilancio – di un certo Peter Sagan…

“Lungi da me l’idea di ridimensionarlo, perché tre Mondiali di fila non si vincono a caso, però – almeno per la mentalità di noi italiani – i campioni della bicicletta si misurano nei grandi Giri. Forse è un fatto culturale perché in Belgio, ad esempio, dove le corse di un giorno vengono prima di tutto, uno come Sagan è considerato un fuoriclasse assoluto. Per noi, invece, il Mondiale, per quanto prestigioso, non sarà mai lo scenario più credibile per consacrare i miti del ciclismo. Prendete uno come Moser: se non avesse vinto il Giro d’Italia la sua immagine postuma, secondo voi, sarebbe stata la stessa? E il discorso vale anche per uno come Moreno Argentin: quattro Liegi, un Fiandre e un Mondiale non gli sono bastati per guadagnarsi, almeno in Italia, la gloria eterna”.

 

 

 

Eddy Merckx

 

 

Cosa non le piace del ciclismo di oggi?

“L’eccessiva specializzazione che porta gli atleti, come Froome ad esempio, ad impostare un’intera stagione soltanto per un obiettivo. I campioni del passato, penso a Merckx o a Gimondi, correvano otto mesi all’anno e vincevano a febbraio come a settembre. Quelli di oggi, invece, fanno sfracelli per due mesi e poi spariscono”.

 

Come se la passa il ciclismo italiano?

“Abbiamo vissuto momenti migliori, anche se qualche giovane, mi pare, stia cominciando a venir fuori. Nelle grandi classiche non siamo competitivi da troppi anni, così come, dopo Cipollini e Petacchi, fatichiamo terribilmente a produrre un velocista di livello mondiale”.

 

Solo un fatto generazionale?

“Non credo. Paesi come l’Australia e, soprattutto, la Gran Bretagna in questi anni hanno investito progetti e risorse per la crescita globale del movimento ciclistico. In Italia, invece, l’attività giovanile è ferma al palo. Mancano le scuole di ciclismo, i velodromi in cui imparare ad andare in bicicletta che resta, a mio modo di vedere, un elemento fondamentale e per nulla scontato. Ancora oggi, per dirne una, penso che Gimondi non avrebbe mai vinto il Mondiale di Barcellona in volata se non avesse imparato il “trucchetto” del gomito largo alle Sei Giorni di Milano”.

 

 

 

Marco Pantani – Oropa 1999

 

Dunque, è un problema di impianti…

“Mettiamola così: se mio figlio adolescente volesse iniziare a correre in bicicletta io, da genitore, sarei sinceramente preoccupato. Perché un conto è portarlo ad allenarsi in una strada chiusa o in un velodromo, un altro è saperlo sulla statale in fila indiana dietro ad un’auto. Se posso scegliere, preferirei portarlo in piscina o in un palazzetto. Il problema della sicurezza oggi è centrale, come purtroppo ci hanno ricordato i tanti, troppi lutti di questo 2017”.

 

Il Ct Cassani, per l’attività giovanile, sta facendo tanto…

“E sarebbe ingeneroso non riconoscerglielo. Però Cassani è costretto, suo malgrado, a lavorare con una Federazione dalla mentalità retrograda che, in questi anni, non è mai riuscita a proporre una reale politica globale sullo sport. Cassani può fare tanto, ma per far svoltare un intero movimento serve l’appoggio e la volontà delle grandi istituzioni. E in questo momento non vedo segnali in questa direzione”.

 

In 20 Tour, 30 Giri d’Italia e 50 Mondiali, qual è l’immagine che ricorda con più affetto?

“Ho in mente un podio senza gradini: il primo record dell’ora di Moser che, percorrendo un chilometro in più, ha letteralmente sgretolato un mito del ciclismo come Merckx. Di Francesco ricordo, in particolare, il dopo-gara: MercKx era stremato, lui, dopo cinque minuti, parlava quasi senza fiatone al microfono con De Zan. Poi il successo mondiale di Gimondi a Barcellona nel 1973 dove spuntò in volata tra Maertens e Merckx sorprendendo il mondo. Infine, citazione d’obbligo per Pantani al Tour che, al Galibier, fece cose straordinarie, anche se mi spiace un po’ tener giù dal podio il fantastico Bugno iridato di Stoccarda”.

 

a cura di Mario Pugliese Copyright © INBICI MAGAZINE

 

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