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IL CICLISMO SECONDO PIPPO POZZATO, OGGI NUOVO DIRIGENTE DELLA TSA BELTRAMI


Pozzato, dunque addio cilcismo?

“Ti dico che, negli ultimi tre mesi, sono uscito in bici sette volte. Rispetto a quando ero professionista ho ridotto drasticamente le ore sui pedali. E così si spiegano anche questi chili di troppo…”.

 

Di cosa ti occupi in questo momento?                         

“Faccio occasionalmente il testimonial di qualche brand, ma in questo momento il progetto che più mi sta a cuore è questa squadra Continental che siamo riusciti ad assemblare grazie all’impegno di Beltrami, che è lo sponsor principale. L’obiettivo è quello di riuscire a costruire un team che, nella filosofia, ricordi una sorta di accademy, ovvero una scuola per far crescere i talenti che passano dagli Juniores alla categoria Under 23”.

Perché una Continental?

Perché con gli Under 23 rischi solo di buttare al vento un paio di anni gareggiando solo in competizioni di provincia. A quel punto, molto meglio una categoria Continental che dà la possibilità ai giovani di confrontarsi con atleti di alto livello, accumulando esperienza e concentrandosi su alcuni obiettivi che, per noi, quest’anno sono il Giro d’Italia Under e il Giro di Val d’Aosta”.

18 March 2006 97th Milano – Sanremo : POZZATO Filippo (ITA) Quickstep – Innergetic,
2nd : PETACCHI Alessandro (ITA) Milram, BOONEN Tom (BEL) Quickstep – Innergetic,
Photo : Yuzuru SUNADA

Avete costruito una Continental senza nessun atleta Elite…

“Ed è stata una scelta ben ponderata perché crediamo nei giovani e vogliamo accompagnarli nel loro passaggio tra i professionisti”.

Cosa pensi della riforma delle squadre professionistiche?

“Io sono drastico e mi rendo conto che la mia idea va un po’ controcorrente, ma io resto convinto che il World Tour sarebbe stata una bella idea se fosse stata messa in pratica in maniera corretta. Io penso che le squadre debbano guadagnare quello che è giusto perché, in questo modo, si riesce a pagare meglio anche i corridori ed il personale. L’idea di un ciclismo elitario, che punti sulla qualità, non mi dispiace affatto, invece negli ultimi anni si è privilegiata la quantità delle squadre, buttando dentro questo circo un po’ tutti. La meritocrazia che premia e punisce con le retrocessioni, sulla carta, non mi pare sbagliata, ma questa confusione che regna non aiuta. Capisco la posizione delle squadre italiane che rischiano di restare fuori dai giochi e dunque protestano, ma se guardiamo la riforma in maniera più globale, con un’ottica più aziendale, io direi che questi cambiamenti hanno una loro logica. Perché chi non ha le risorse per fare una squadra competitiva a questi livelli non ci può stare. Io penso al ciclismo del futuro come ad una Nba con un numero limitato di atleti. I professionisti per me non possono essere più di duecento, con altrettanti nelle categorie inferiori. Per gli altri, senza offesa, restano le granfondo…”.

In questi cambiamenti epocali, il ciclista non viene quasi mai interpellato…

“Ed è un errore madornale perché sono i ciclisti il fulcro di questo circo e, invece, troppe volte, sono trattati come l’ultima ruota del carro. E spesso la colpa di questa situazione è proprio dei corridori…”.

Intanto i calendari, a parte qualche eccezione, restano sempre gli stessi…

“E anche questo è il retaggio di una cultura ormai antica che vede sempre con diffidenza quei paesi emergenti che, invece, avendo le risorse, potrebbero fare del bene al ciclismo, aumentando il business. Del resto, il ciclismo non percepisce alcun diritto televisivo e dunque gli introiti devono provenire da altri versanti…”.

A proposito di diritti tv, lei è sempre stato critico su questo tema…

“Sì perché gli introiti televisivi rappresentano l’unico modo per immaginare uno sviluppo serio del ciclismo, come del resto è avvenuto con il calcio dove, alla fine, ne hanno beneficiato tutti. Il ciclismo invece sopravvive solo grazie agli sponsor, ma non è in grado di generare altri profitti. E questo, in futuro, potrebbe diventare un problema. Ma, anche in questo caso, le responsabilità sono dei corridori che, pur avendo il coltello dalla parte del manico, non sanno gestire il loro potere e, di fatto, pensano solo ad allenarsi non preoccupandosi dei loro guadagni e di chi li sfrutta”.

 

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