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Aldo Moser sullo Stelvio al Giro d'Italia 1965

IL TESTIMONE: ALDO MOSER: “IO C’ERO”


 

Nella storica tappa di 60 anni fa c’era anche il fratello maggiore dello Sceriffo: “Gaul partì sul Bondone e io lo rividi il giorno dopo, ma se firmò quell’impresa un po’ di merito fu anche mio”

In quella domenica di (finto) giugno di 60 anni fa, lui c’era. Partì in mezzo al gruppo tra il freddo e la pioggia. Poi il freddo diventò gelo e la pioggia si tramutò in neve. E lì cominciò il calvario (al traguardo, su 86 partenti, non arrivarono in 45).

 

Il Moser di allora era Aldo, uno allenato alla fatica: “Avevo 22 anni ed ero terzo in classifica. Quel giorno il Giro d’Italia partiva da Merano, si scalavano le montagne di Costalunga, Rolle, Gobbera, Brocon e infine il monte Bondone: 242 chilometri in totale. Le prime quattro salite sterrate, il Bondone asfaltato. Sapevamo tutti che sarebbe stata una giornata dura, probabilmente la tappa decisiva per l’assegnazione della maglia rosa, ma nessuno immaginava che cosa ci aspettava”.

A rendere il quadro ancora più complicato, un contrattempo – tutt’altro che marginale per un ciclista – che, oggi, Aldo ricorda così: “La mattina dissi ai miei familiari, venuti a trovarmi, di riportare le scarpe di scorta a casa, ormai mancavano solo due giorni e il Giro sarebbe finito. Poi, però, quando mi vestii per la corsa, non trovai né le scarpe da gara né quelle di scorta. Sparite. Per errore mi avevano portato via anche quelle. Ai compagni della Torpado ne chiesi un paio in prestito. Nessuno aveva il 42. Presi allora le scarpe di Gilberto Dall’Agata, un mio gregario. Che però aveva il 44 di piede. Telefonai a casa, chiesi di riportarmi le scarpe, ci saremmo trovati nei pressi di Predazzo. Ci arrivai con i piedi rovinati e i muscoli dolenti e, mentre mi fermavo per cambiarmi le scarpe, nella bufera, la corsa diventò una guerra. Gaul lo avrei rivisto solo al traguardo, anzi, il giorno dopo, alla partenza”. Aldo Moser arrivò decimo, a 21’28” da Gaul e finì quel Giro d’Italia al quinto posto, malgrado le dita della mano che si sgelarono solo due mesi dopo: “Ma ci fu un tratto della corsa – ricorda – in cui Charly Gaul rischiò di perdere quella tappa e sicuramente anche il Giro. Mi misi al suo fianco e, malgrado fossi sofferente, lo riportai sui battistrada, ricucendo uno svantaggio che lui da solo non avrebbe mai colmato. E’ un dettaglio che tante volte la gente dimentica e anche lui, a fine gara, non fu particolarmente riconoscente. Solo diversi anni dopo, quando già da tempo avevamo appeso la bicicletta al chiodo, Charly mi chiamò dicendomi che, siccome si trovava dalle parti di Trento, avrebbe voluto incontrarmi. In quell’occasione, bonariamente, gli rinfacciai quell’aiuto prima del Bondone e lui, in quell’occasione, ammise che il mio lavoro fu determinante e, finalmente, con un sorriso mi ringraziò”.

Ma chi era Charly Gaul in mezzo al gruppo dei ciclisti? “Era un tipo taciturno – ricorda oggi Aldo – uno che parlava poco, anche se era forte e dunque rispettato da tutti. Era un perfetto giocatore di poker, dalla faccia non capivi mai che cosa aveva in mente. L’unico modo per batterlo era stargli sempre a ruota, ma quando la strada saliva, in pochi ci riuscivano”. Tanti ricordi e, 60 anni dopo, un rimpianto ancora vivo. Poteva vincerlo Aldo Moser quel 39° Giro d’Italia? “Sì, quell’anno potevo vincere io. Ho avuto tanta sfortuna e le corse, a volte, si perdono anche se sei il più forte. Ma Charly non ha rubato nulla ed è stato il degno vincitore di quel Giro d’Italia”.

a cura della redazione Copyright © INBICI MAGAZINE

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