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LA CAMPIONISSIMO RACCONTATA DAL NOSTRO INVIATO ALESSANDRO GARDINI

LA CAMPIONISSIMO RACCONTATA DAL NOSTRO INVIATO ALESSANDRO GARDINI



Aprica (Sondrio), 26 Giugno 2016

 

 

Ogni anno, nel periodo autunnale, sfogliando InBici e i calendari delle manifestazioni, mi pongo i miei obbiettivi sportivi e comincio a sognare le avventure che andrò a vivere in sella alla mia bicicletta, come stimolo a portare avanti la passione per questo sport.

Cerco così di ottimizzare il poco tempo che ho a disposizione e i preziosi consigli degli amici esperti del settore, per essere al meglio della forma nel periodo prefissato e concludere degnamente le mie avventure. Amante delle Alpi fin da bambino, anche quest’anno la ciliegina sulla torta non poteva che essere una gran fondo dove il ciclismo ha scritto  la sua storia. Questo nome, la Campionissimo, mi frullava nella testa già da un po’ con le sue epiche salite: il Gavia e il Mortirolo. Purtroppo pochi giorni prima, a causa delle condizioni meteo disastrose degli ultimi tempi, la gigantesca frana del Ruinon, nel territorio di Valfurva, che incombe sulla vallata da molti anni, si è risvegliata mettendo a rischio i paesi sottostanti. La strada che conduce al Passo Gavia, via di collegamento tra la Valtellina e la provincia di Brescia, anche se riaperta, viene per forza di cose vietata al passaggio di manifestazioni sportive. Ahimè, il Passo Gavia, sognato e immaginato ogni giorno sulle salite di casa mia, all’improvviso scompare dai miei obbiettivi. Incontro il patron della manifestazione, il signor Vittorio Mevio del Gs Alpi, il venerdì pomeriggio e mi conferma la “triste” notizia e mi comunica il percorso alternativo che ogni anno tiene nel cassetto qualora le emergenze meteo lo richiedano.

 

Fortunamente, il territorio delle valli circostanti l’Aprica è talmente bello e ciclisticamente performante, che ha permesso all’organizzazione di regalarci comunque una domenica di grandi emozioni e grandi performance per tutti noi. Tre i percorsi, e diversi i circuiti presenti all’interno dell’evento, con il doppio Mortirolo e il Santa Cristina sul finale per il percorso lungo. Finalmente la domenica, il giorno della gran fondo arriva. Sul passo dell’Aprica le bici che vanno e vengono già dai giorni precedenti, parlano lingue un po’ da tutto il mondo, più di quattrocento gli stranieri, c’erano i vicini francesi, gli svizzeri, i tedeschi e gli spagnoli e perfino giapponesi, americani e brasiliani, qualcuno pronto per la sfida qualcuno meno, ma tutti estremamente felici perché la bellezza e le emozioni che regalano questi luoghi superano tutte le fatiche. Una cosa ci ha unito tutti, la maglia Assos verde e rossa, da indossare obbligatoriamente durante la corsa, quasi a significare il verde incredibile dei prati intorno a noi e il rosso della fatica sui nostri volti. Partiamo dall’Aprica con la fanfara dei bersaglieri a darci la carica, con partenza controllata in un’interminabile discesa verso Edolo, dove inizia la scalata verso la Val Camonica, e da qui si arriva a Monno per l’ascesa al primo Mortirolo. Svalichiamo il primo passo tra le nuvole e qualcuno già stanco e senza cronometro si ferma subito ad assaggiare le prelibatezze di questo territorio, mentre i primi sono già lontani e qui ti soffermi un attimo ad ammirare il luogo unico in cui ti trovi il Passo della Foppa (Mortirolo). Inizia la velocissima discesa in direzione Mazzo passando per Tiolo: la perfetta organizzazione non può far nulla per la pioggia del giorno prima e della notte, che ha lasciato sul tracciato quegli aghi di pino che se non sei attento ti fanno cadere in un battibaleno; ma qui la differenza si fa in salita e la discesa va presa con un bel po’ di attenzioni! Quindi arriviamo nel veloce fondovalle valtellinese che ti porta all’inizio della scalata del Mortirolo dal lato più famoso.

 

Una salita lunga con trentatrè tornanti, da vivere con passione dall’inizio alla fine, godendosi la propria fatica, mentre senti il rumore della catena sul cambio, i muscoli che spingono sui pedali, il cuore che batte e quel silenzio tombale che coinvolge tutti. I grimpeur la fanno a tutta in piedi sui pedali, agili e veloci , non sembra nemmeno che facciano fatica, i meno allenati arrancano e cominciano a fermarsi a bordo strada e alla peggio nel mezzo, qualcuno cade all’improvviso. Decido di affrontarla al meglio per non avere rimpianti e spingo i miei rapporti con agilità, con un occhio sulla frequenza e uno sulla potenza, tenendo presente comunque che la gara è ancora lunga. 

Arrivo al tornante 13, al 12 e poi finalmente all’11: qui non posso che andare ancora più piano e alzare la mano al cielo salutando lui, romagnolo come me, Marco Pantani. Questa curva è la sua, per chi non lo sapesse o non lo ha ancora fatto, un tenero pensiero a lato della sua gigantografia ci riporta alle sue imprese. Schivo un gruppo di spagnoli e di olandesi fuori gara, intenti nei loro selfie di gruppo e tra gli applausi dei valtellinesi a incitarci, proseguo spedito alzandomi e spingendo a ritmo senza contare più i tornanti, e arrivo al passo dove ad attendermi c’è mia moglie, per un piccolo rifornimento di acqua e indumenti asciutti. Cedo anche io ad un tenero selfie amoroso e a questo punto,felice come un bambino per avere portato a casa un altro gioco da aggiungere alla sua collezione, con ancora un pò di energia, grazie ad un’integrazione alimentare perfetta, mi dirigo verso l’Aprica per le ultime fatiche. Come detto l’acqua non ci da tregua, e la discesa è ancor più difficile della precedente, ai rami e agli aghi di pino si aggiunge il loro polline verdolino, e l’acqua che scorre verso valle, a disturbare il passaggio delle nostre bici e a rendere difficoltoso l’ultima parte del tragitto, così assisto alle prime scivolate dovute a qualche rischio di troppo, con conseguenze spero non troppo gravi. Per questo, non me ne vogliate, ho deciso di rallentare e nel frattempo è arrivato il temporale con tutta la sua foga montanara. Transito all’Aprica con un’acqua fredda e battente che mi accompagna per tutta la salita del Santa Cristina, sei chilometri poco più, al nove per cento di media, integralmente inzuppato: qui ho capito perché tutti mi dicevano di andare piano nelle salite precedenti. Intanto mi ero fatto qualche nuovo simpatico compagno di giochi, ci aspettiamo e ci incitiamo a vicenda e in più lingue, però per tutti, complice un po’ di freddo e la stanchezza, le gambe non giravano come sul Mortirolo. Qualcuno lo perdo e qualcuno lo riprendo e così arrivo in cima a quest’ultima salita con l’odore degli abeti appena tagliati, la pioggia quasi a disegnare piccoli torrenti sulla nostra strada, e mi dirigo sul traguardo con l’acqua che cola sul mio viso e si unisce alle mie lacrime di gioia per avere concluso un’altra avventura. Chiudo il mio racconto con una frase ben nota agli amanti di questi monti, che ben riporta quello che si prova ogni volta che si raggiunge una di queste vette, qualunque essa sia e aggiungo io, in qualunque sport: “Sulle montagne possono salirci in molti, ma nessuno potrà mai invadere le esperienze che sono e rimangono nostre” (W.Bonatti) .

 

 Dr. Alessandro Gardini

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