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Eddy Merckx

L’INERVISTA A GIANFRANCO JOSTI: “ERA MEGLIO PRIMA”


Parlare di ciclismo con Gianfranco Josti è un po’ come riavvolgere il nastro della storia. Perché – con un curriculum di 30 Giri d’Italia, 20 Tour de France e 50 campionati del mondo – il decano dei cronisti sportivi è una sorta di enciclopedia vivente della bicicletta. Uno sport scoperto ai tempi memorabili di Gimondi e Merckx e lasciato, almeno professionalmente, con la morte di Pantani, a cui ha dedicato un libro-verità che resterà – ad maiora – una delle opere postume più interessanti legate all’epopea del Pirata: “Marco per me sarà sempre una ferita dolorosa – spiega Josti – e, ancora oggi, malgrado abbia dedicato a questo caso una lunga indagine giornalistica, resto con tanti dubbi e qualche certezza. Una di queste è che, in quegli anni, Marco dava fastidio a tanti e, dopo la squalifica di Madonna di Campiglio, molti devono aver brindato. Anche il gruppo – che gli era stato accanto al Tour del ’98 finendo quella corsa solo per rispetto di Pantani – in quel 4 giugno del 1999 gli voltò le spalle. Un’altra certezza è che Marco è morto da drogato, ma non è mai stato un dopato, perché – fino a prova contraria – quello di Campiglio non era un controllo antidoping, bensì uno screening a salvaguardia della salute degli atleti. Pantani, i controlli antidoping in carriera, piaccia o no, li ha sempre superati tutti…”.

Cosa non le piace del ciclismo di oggi?

“L’eccessiva specializzazione che porta gli atleti, come Froome ad esempio, ad impostare un’intera stagione soltanto per un obiettivo. I campioni del passato, penso a Merckx o a Gimondi, correvano otto mesi all’anno e vincevano a febbraio come a settembre. Quelli di oggi, invece, fanno sfracelli per due mesi e poi spariscono”.

Come se la passa il ciclismo italiano?

“Abbiamo vissuto momenti migliori, anche se qualche giovane, mi pare, stia cominciando a venir fuori. Nelle grandi classiche non siamo competitivi da troppi anni, così come, dopo Cipollini e Petacchi, fatichiamo terribilmente a produrre un velocista di livello mondiale”.

Marco Pantani

Solo un fatto generazionale?

“Non credo. Paesi come l’Australia e, soprattutto, la Gran Bretagna in questi anni hanno investito progetti e risorse per la crescita globale del movimento ciclistico. In Italia, invece, l’attività giovanile è ferma al palo. Mancano le scuole di ciclismo, i velodromi in cui imparare ad andare in bicicletta che resta, a mio modo di vedere, un elemento fondamentale e per nulla scontato. Ancora oggi, per dirne una, penso che Gimondi non avrebbe mai vinto il Mondiale di Barcellona in volata se non avesse imparato il “trucchetto” del gomito largo alle Sei Giorni di Milano”.

Dunque, è un problema di impianti…

“Mettiamola così: se mio figlio adolescente volesse iniziare a correre in bicicletta io, da genitore, sarei sinceramente preoccupato. Perché un conto è portarlo ad allenarsi in una strada chiusa o in un velodromo, un altro è saperlo sulla statale in fila indiana dietro ad un’auto. Se posso scegliere, preferirei portarlo in piscina o in un palazzetto. Il problema della sicurezza oggi è centrale, come purtroppo ci hanno ricordato i tanti, troppi lutti di questi ultimi anni”.

Christopher Froome (GBR – Team Sky) – photo Luca Bettini/BettiniPhoto©2017

Il Ct Cassani, per l’attività giovanile, sta facendo tanto…

“E sarebbe ingeneroso non riconoscerglielo. Però Cassani è costretto, suo malgrado, a lavorare con una Federazione dalla mentalità retrograda che, in questi anni, non è mai riuscita a proporre una reale politica globale sullo sport. Per far svoltare un intero movimento serve l’appoggio e la volontà delle grandi istituzioni. E in questo momento non vedo segnali in questa direzione”.

In 20 Tour, 30 Giri d’Italia e 50 Mondiali, qual è l’immagine che ricorda con più affetto?

“Ho in mente un podio senza gradini: il primo record dell’ora di Moser che, percorrendo un chilometro in più, ha letteralmente sgretolato un mito del ciclismo come Merckx. Di Francesco ricordo, in particolare, il dopo-gara: MercKx era stremato, lui, dopo cinque minuti, parlava quasi senza fiatone al microfono con De Zan. Poi il successo mondiale di Gimondi a Barcellona nel 1973 dove spuntò in volata tra Maertens e Merckx sorprendendo il mondo. Infine, citazione d’obbligo per Pantani al Tour che, al Galibier, fece cose straordinarie, anche se mi spiace un po’ tener giù dal podio il fantastico Bugno iridato di Stoccarda”.

Gianfranco Josti.
Gianfranco Josti è uno dei più autorevoli giornalisti del mondo del ciclismo.
Decano dei giornalisti italiani, penna pungente e fine conoscitore del mondo dello sport,Per anni firma di punta del Corriere della Sera, autore di tanti libri di successo.

 

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