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L’INTERVISTA



Vladimir Belli commenta il 2015 appena concluso e anticipa i temi salienti dell’anno che verrà: “Sagan vincerà molto di più, ma nelle corse a tappe l’Italia può sognare ancora”

 

 

Sul ciclismo potrebbe scrivere una collana di libri perché, in quasi tre lustri di professionismo, a cavallo del millennio, ha vissuto – da protagonista – alcune delle pagine più belle e maledette di questo sport.

Che Vladimir Belli fosse un talento cristallino, il ciclismo italiano se ne accorse nel lontano 1990, quando quel ragazzino di Sorengo vinse il Giro d’Italia Dilettanti. Un’impresa di cui, forse, allora non si valutò compiutamente la portata, ma che oggi – rileggendo quel podio – regala agli appassionati di ciclismo una sferzata di brividi postumi: 1° Belli, 2° Pantani, 3° Gotti.

Da quel giorno, il re dei “regolaristi” di soddisfazioni se ne è tolte parecchie, anche se brucia ancora l’assurda squalifica al Giro 2001 quando, col terzo posto in classifica generale ormai in tasca, venne mandato a casa per aver reagito agli insulti premeditati di un provocatore.

Apprezzato commentatore televisivo per Eurosport, Vladimir Belli inaugura in questo primo numero del 2016 una nuova collaborazione con il magazine InBici. Sarà infatti lui ad analizzare per noi la prossima stagione dei professionisti.

 

Tra l’esplosione di Aru (vincitore della Vuelta), la conferma di Contador al Giro e quella di Froome al Tour, fino al successo di Sagan ai Mondiali, qual è l’impresa del 2015 che più l’ha impressionata?

Sono tutte vittorie di grande valore, ma l’impresa di Aru alla Vuelta di Spagna mi ha entusiasmato. Forse non aveva di fronte avversari formidabili, ma non è facile, in una corsa a tappe, vedere un giovane lottare con tanta determinazione e superare, con la forza della tenacia, momenti così difficili. Non sono stupito perché, in fondo, conoscevo il valore del ragazzo, ma certo, vedendo anche come ha messo in difficoltà Contador nelle ultime tappe del Giro, oggi Aru rappresenta una realtà importante del nostro ciclismo.

 

Al Tour de France, invece, i pronostici sono stati ampiamente rispettati…

Credo che Froome oggi sia in assoluto il miglior interprete delle corse a tappe. In questo momento, come ha dimostrato in diverse occasioni, lo vedo superiore a Contador. Devo dire che il suo modo di correre, il suo stile, non mi entusiasma, ma nel ciclismo contano i risultati e dunque sono convinto che, anche nel 2016, sarà ancora lui l’uomo da battere della Grand Boucle.

 

L’ex Pro Wladimir Belli con la maglia della Fassa Bortolo 2001

 

Nelle corse a tappe è mancato un certo Nibali, “solo” 4° al Tour ad oltre 8 minuti dalla maglia gialla. I pronostici erano altri, giusto?

I suoi preparatori ci avevano assicurato, prima del Tour, che i test di Vincenzo erano grosso modo quelli del 2014, ma lo sport non è fatto solo di numeri. Sul rendimento di un atleta incide anche l’aspetto emotivo e dunque è probabile che sul Tour di Nibali abbia pesato oltremodo la componente nervosa. La stessa che, in fondo, l’ha tradito alla Vuelta con quella squalifica che l’ha penalizzato anche sul piano dell’immagine. Però, anche se la condizione è cresciuta in ritardo rispetto alle aspettative, Vincenzo ha pur sempre vinto una tappa al Tour ed è stato protagonista di un finale di stagione entusiasmante con i successi al Lombardia, alla Bernocchi e alla Tre Valli Varesine. Dunque, malgrado nelle corse a tappe non sia andato come tutti noi speravamo, il suo 2015 dev’essere considerato un anno comunque positivo.

 

Ai Mondiali grande affermazione di Sagan. Se l’aspettava?

Certo e, anzi, penso che il prossimo anno farà ancora meglio. In tante corse in linea l’abbiamo visto buttare vittorie ampiamente alla sua portata. Credo che nel 2016 possa vincere molto di più. 

 

A proposito di Mondiali, Cassani poteva fare meglio?

Con quella squadra obiettivamente era molto difficile. Poi si può parlare di qualche errore tattico, come l’attacco di Viviani nel momento sbagliato, ma il problema resta: in questo momento ci manca un corridore alla Bettini in grado di essere davvero competitivo nelle gare di un giorno.

 

Mentre nelle grandi corse a tappe l’Italia si difende bene…

Direi molto bene: sia Nibali che, soprattutto, Aru nei grandi Giri ci offrono garanzie importanti. Certo, come italiani siamo abituati molto bene, forse troppo. Qualche anno fa avevamo lo scalatore più forte del mondo ed il velocista che vinceva sempre. Oggi le cose sono un po’ cambiate, non abbiamo più l’atleta capace di vincere le gare di un giorno e magari storciamo il naso se un Viviani si piazza dietro a Greipel o Kristoff. Ma i giovani che possono far bene non mancano, bisogna solo avere la pazienza di aspettarli.

 

Un nome?

Si parla molto di Gianni Moscon che secondo me ha le qualità per far bene, anche se la storia insegna che il passaggio dagli under 23 ai professionisti non è mai facile.

 

Ci vorrebbe una generazione come la sua…

Credo sia stata una generazione unica perché non si è mai visto, nella storia recente del ciclismo, un gruppo così numeroso di giovani italiani imporsi con tanta facilità anche tra i professionisti. Venivano tutti da squadre medio-piccole e dunque eravamo temprati alla lotta e abituati a sgomitare per emergere dal gruppo. Ma alla fine, quando nasce un Pantani, il merito non è delle Federazioni né dei settori giovanili. Perché il buon corridore talvolta lo fa l’ammiraglia, ma il campione lo crea sempre la genetica.

 

Fonte  Mario Pugliese Copyright © INBICI MAGAZINE

 

nella foto di testa Christopher Froome e fabio Aru

foto BETTINIPHOTO

 

2
3 Christopher Froome e Fabio Aru
   
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