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Mauro Vegni alla presentazione del Giro d’italia 2019 -foto Bettiniphoto

MAURO VEGNI: “LA MIA VITA IN ROSA”


Toscano di nascita ma romano d’adozione, dal 1995 si occupa dell’organizzazione del Giro d’Italia. Dagli albori ai giorni nostri ecco le storie, gli aneddoti ed i retroscena della più importante corsa a tappe del Belpaese.

Voleva fare il calciatore, sognando di indossare la maglia giallorossa della Roma di cui era (ed è) tifoso. Si trova invece ad organizzare il Giro d’Italia, ovvero la più grande manifestazione sportiva che ogni anno calamita sulle strade della Penisola milioni di appassionati. Parliamo di Mauro Vegni, toscano di nascita (Cetona, provincia di Siena, 1959 anno di nascita) ma romano d’adozione a tutti gli effetti che ci svela come il suo mito del pallone sia svanito in malo modo: “Sono arrivato al semi-professionismo in serie C dopo aver militato nelle categorie giovanili dell’interregionale laziale, quando ho saputo che avevano vincolato il mio cartellino per cinque anni, in pratica mi avevano sbarrato la strada per arrivare al professionismo. A quel punto ho mandato al diavolo il calcio e tutto quello che poteva rappresentare, cadendo in una sorta di depressione”.

In suo soccorso è arrivata la bicicletta. “Vivevo a Roma Centocelle, nel mio stabile abitava Franco Mealli, pure lui toscano trapiantato nella Capitale, organizzatore di gare ciclistiche che mi aveva preso in simpatia forse vedendo in me quel figlio maschio che tanto avrebbe voluto avere. Per questo mi portava ad assistere alle corse, cercando di farmi interessare ad un mondo che non conoscevo. Dopo il diploma mi ero iscritto a Scienze Politiche ma frequentavo l’Università senza grande entusiasmo. Credo fu per questa ragione che nel 1982 Mealli mi propose di lavorare per lui al Velo Club Forze Sportive Romane con tanto di contratto. Nel frattempo mi ero fatto un po’ d’esperienza seguendolo nell’organizzazione dei mondiali su pista e strada del ’76 a Monteroni e Ostuni. Quando parlo di esperienza mi riferisco a ogni tipo di incarico, dalla distribuzione porta a porta dei comunicati della società ad azionare a mano il ciclostile che s’era bloccato, come accadde in un Giro dilettanti “.

Il Velo Club Forze Sportive Romane aveva sicuramente una struttura artigianale rispetto a quella del Giro d’Italia che faceva capo alla Gazzetta dello Sport, ma copriva gran parte del ricco calendario italiano. Ricorda Vegni: “Organizzavamo la Tirreno-Adriatico, che allora durava sette giorni ed il Giro del Lazio, due manifestazioni che coprivano il disavanzo delle altre corse targate Mealli, ovvero Giro dell’Etna, Trofeo Pantalica, trasformati poi in Settimana Siciliana, e ancora Giro dell’Umbria, del Friuli e Giro di Puglia a tappe. Ci occupavamo anche dell’allestimento del Giro d’Italia dilettanti. Il lavoro non ci mancava e neppure le soddisfazioni, perché quasi sempre potevamo contare su un qualificato gruppo di concorrenti, tutti i più grandi campioni hanno preso parte alle nostre gare, basta guardare i nomi che compaiono negli albi d’oro”.

la partenza del Giro d’Italia 2018 da Gerusalemme – foto Roberto Bettini/BettiniPhoto©2018

 

Poi l’ingresso nella RCS .“Franco Mealli, alla fine degli Anni Ottanta, ha avuto problemi di salute sempre più assillanti così, visto che non me la sentivo di assumere la responsabilità economica di rilevare la società, ha ceduto il suo pacchetto di corse alla RCS ed io nel 1995 sono entrato ufficialmente nello staff organizzativo del Giro a fianco di Elo Castellano”. Prima di approdare a Milano, Mauro Vegni si era ritagliato un ruolo di un certo peso tra gli organizzatori anche se poco conosciuto dal grande pubblico a causa del suo carattere decisamente schivo. Ma chi frequentava il mondo del ciclismo sapeva che aveva avuto una parte di rilievo nella complessa organizzazione del Mondiale 1994 ospitato in Sicilia. “In pratica in pochi mesi e con l’aiuto di tanti ragazzi dotati di buona volontà sono riuscito a condurre in porto la rassegna iridata che per l’ultima volta ospitava nella stessa nazione e nello stesso periodo le prove su pista e su strada. Non solo, il mondiale siciliano che segnò il debutto delle prove a cronometro individuali, maschili e femminili e la fine della 100 chilometri fece la scelta di assegnare i sette titoli in palio per gli stradisti in quattro sedi: Palermo, Catania, Capo d’ Orlando e Agrigento dopo che il nuovo velodromo palermitano intitolato a Paolo Borsellino aveva ospitato i pistard. Come potete immaginare non fu semplice coordinare una manifestazione così complessa su più fronti”.

In soccorso a Vegni veniva appunto l’esperienza accumulata a fianco di Franco Mealli nell’organizzare la Tirreno-Adriatico nata come corsa di preparazione alla Sanremo in concorrenza con la Parigi-Nizza, ma presto in grado di diventare un traguardo sempre più ambito e con una partecipazione di corridori di livello in continua crescita.  ”Se guardo al passato devo confessare che la corsa che mi piaceva di più era il Giro del Lazio con il suo spettacolare tracciato su e giù per i colli dei castelli , l’ingresso in città attraverso l’Appia Antica e il fascino del circuito finale delle Terme di Caracalla e del Foro Romano con l’arco di Costantino  a fare da sfondo al traguardo. A proposito di Appia, un piccolo aneddoto: una volta il presidente di giuria, un belga, nel commentare l’andamento della gara a fine corsa mi disse ‘tutto bene, tutto bello ma non potevate far asfaltare gli ultimi chilometri che avevano quel pavé orrendo o trovare una strada meno disastrata?’ Ho avuto la prontezza di non replicare. La corsa che mi manca di più però è il Giro di Puglia che capitava in un momento di pausa de ciclismo, a settembre, riempiva un buco nel calendario, lo si affrontava in grande serenità, si toccavano posti splendidi da un punto di vista paesaggistico ed in genere trovavamo un clima ideale. Tempi passati”.

Mauro Vegni con Renato Di Rocco presidente della Federazione Ciclistica Italiana – photo Roberto Bettini/BettiniPhoto©2017

 

Tanta differenza ad organizzare oggi rispetto al passato? “Enorme, i nuovi mezzi di comunicazione impongono una tempistica ben diversa, al minimo errore parte il tam tam che provoca reazioni immediate magari a fronte di una notizia non completamente vera. E poi la logistica obbliga a fare scelte ben diverse: un tempo i corridori dormivano in due o tre nella stessa camera ora il minimo che pretendono è la singola, recuperare alberghi di un certo tenore non sempre è facile. Occorrono spazi sempre maggiori per ospitare i mezzi tecnici, sia delle squadre che delle televisioni. Per tutti questi motivi spesso si è costretti a rinunciare ad arrivi o a partenze da città o paesi particolarmente suggestivi ma inadatti. Un organizzatore oggi deve dedicare molto tempo e moltissime energie alle relazioni internazionali, al mondo dei media, al livello di  sicurezza in ogni momento della giornata mentre un tempo quasi tutto era concentrato solo sulla corsa vera e propria. Ma resta inalterato il fascino di cercare di proporre sempre qualche cosa di nuovo nel rispetto della tradizione”.

Sotto questo profilo gli organizzatori italiani da sempre sono considerati dei precursori, basti pensare alla partenza del Giro numero 101 da Israele. “E’ stata una grandissima promozione non solo per il Giro d’Italia ma per tutto il ciclismo. Era impensabile portare fuori dall’Europa un grande Tour, noi abbiamo dimostrato che è fattibile.  Ma questa nostra operazione a qualcuno ha dato fastidio tanto che la Federciclo mondiale ha emanato una norma in base alla quale che non sono ammesse deroghe al numero di giorni concessi per una grande gara a tappe. In pratica vogliono evitare che si ripeta la straordinaria esperienza di Israele”.

Ciclisti impegnati nella terza tappa del Giro 2018 a Gerusalemme – photo Luca Bettini/BettiniPhoto©2018

 

Si spieghi. “Per promuovere il ciclismo bisogna offrire a un prodotto conosciuto e ben collaudato come sono le grandi gare a tappe.  L’esperienza ci ha insegnato che le corse d’un giorno non fanno presa su un pubblico nuovo al mondo delle due ruote. Però per far partire il Giro da New York o da Tokyo è necessario ampliare i giorni a disposizione. Infatti solo il week-end lungo offre garanzie di successo sia alla città e alla nazione che si assume l’onere di ospitare le prime tappe sia alla televisione. E’ ampiamente dimostrato che l’interesse del telespettatore cresce dal venerdì alla domenica poi è fisiologico il crollo dello share il lunedì . Se gli interessi televisivi coincidono con quelli degli organizzatori perché non tenerne conto? Perché non stabilire, in occasione della partenza di un grande giro da un paese extraeuropeo che il lunedì è giorno di riposo per il trasferimento e se si dovesse prendere il via da Tokyo i giorni di riposo diventano due perché indispensabili per il rientro? E’ evidente che chi ha il monopolio del ciclismo europeo non vede di buon occhio una simile proposta o altre iniziative per dare al ciclismo quella svolta radicale tanto auspicata ma mai veramente perseguita. Un tempo la formula 1 era prettamente europea, adesso è globale. Noi della RCS abbiamo organizzato eventi ciclistici in paesi extraeuropei dall’economia molto forte ed ora ci sono Paesi arabi che sponsorizzano due squadre ciclistiche e che hanno ospitato un campionato mondiale. Sono risorse importantissime per il nostro sport che non può più continuare ad avere una visione miope circa il suo sviluppo per proteggere gli interessi di chi ha conquistato una posizione dominante e che vuole evitare che qualcuno possa scalfirla e indebolirla”.

Chiara allusione agli organizzatori del Tour de France che gestiscono pure la Vuelta, un nutrito numero di classiche in Belgio oltre a quelle di casa loro. Ma torniamo al Giro in Israele. “L’ente del turismo era molto interessato a portare un grande evento come il Giro perché c’è una politica di grandi investimenti sulla bicicletta e quello che ne consegue, piste ciclabili comprese. Ho cominciato a lavorare su questa ipotesi più di due anni fa, sono andato diverse volte a Gerusalemme e Tel Aviv e quando abbiamo trovato la quadratura del cerchio per vincere le diffidenze dei gruppi sportivi che temevano per l’incolumità dei corridori ho invitato in Israele sette direttori sportivi che hanno constatato che si poteva correre in perfetta sicurezza. A Tel Aviv, che tutti hanno raggiunto in aereo partendo dai propri paesi, massaggiatori e meccanici compresi, le squadre hanno trovato le auto già brandizzate, speciali continer avevano provveduto al trasporto delle bici, anche quelle da cronometro con protezioni particolari. Tutti ci hanno fatto i complimenti perché tutto è filato nel migliore dei modi. La cosa che mi ha sorpreso di più, che ha sorpreso tutti è stata la straordinaria partecipazione della gente, a Gerusalemme, ad Haifa, a Tel Aviv a Eilat, la città più a sud che si affaccia sul Mar Rosso. Gente che aspettava il Giro con emozione, che ha vissuto questi tre giorni con grandissimo coinvolgimento. E’ stata davvero una magnifica sensazione”,

Giro D’Italia 2018 – 101th Edition – Israel – 06/05/2018 – 3rd stage Be’Er Sheva – Eilat 229 km – Pubblico – foto Roberto Bettini/BettiniPhoto©2018

 

Quest’anno il Giro d’Italia presenta un percorso più tradizionale, privilegiando il Nord a scapito del Sud. “Vista la conformazione dell’Italia, visti i limiti di chilometraggio imposti dalla federazione è inevitabile per noi in ogni edizione del Giro saltare qualche regione. Nell’ultimo mi avevano criticato perché nella risalita della penisola dalla Sicilia non si toccava la Puglia, questa volta approdiamo a San Giovanni Rotondo rendendo omaggio a Padre Pio. Un anno fa le tappe del nord erano spezzettate da continui trasferimenti, poco graditi ai corridori ed allora abbiamo proposto un percorso più lineare cercando di venire incontro alle richiesti dei corridori.”

I corridori insistono molto sul tema sicurezza. “Anche noi dedichiamo molta attenzione a questo problema di non facile soluzione. Pensiamo ad esempio alle strade spesso dissestate, ogni anno riceviamo decine di richieste da parte di comuni che ci invitano a transitare sul loro territorio perché l’Anas privilegia gli interventi su strade che ospitano il passaggio del Giro ma oltre a ciò cresce continuamente la mia preoccupazione per il comportamento del pubblico”.

Nel corso dell’ultimo Tour de France Froome ed i corridori della Sky hanno subito un’incivile contestazione perché molti spettatori non gradivano la presenza del britannico per via del presunto caso doping mentre lo stesso Froome si è detto entusiasta dell’accoglienza che gli ha riservato il pubblico italiano. “Quello che ho notato da qualche anno in qua è la mancanza di educazione sportiva da parte del pubblico che assiste al passaggio dei corridori nelle tappe di montagna. Soprattutto giovani che ingannano l’attesa bevendo alcoolici poi si mettono a correre a fianco dei corridori rischiando di farli cadere. Magari mezzi nudi o con parrucche e abbigliamenti assurdi. Credo sia indispensabile una vasta operazione di educazione da parte di tutti i media per evitare che succedano incidenti come quello occorso al Tour a Vincenzo Nibali, costretto al ritiro. Noi investiamo molto sulla sicurezza, la fortuna di avere quali collaboratori ex professionisti come Giannelli, Velo, Longoborghini oltre ad Allocchio che fa parte dello staff mi aiuta molto a ridurre le possibilità di incidenti. Ma, ripeto, occorre varare una vasta campagna mediatica per evitare che il tifoso di ciclismo si trasformi in pericolo per il corridore”.

Che cosa si aspetta dal Giro d’Italia numero 102? “Lo stesso successo di quello di quest’anno”.

E che cosa sogna? “Di poter far partire il Giro d’Italia da New York prima e da Tokyo poi. So che è possibile, ma bisogna che il governo del ciclismo apra i suoi orizzonti”.

a cura di Gianfranco JostiCopyright © INBICI MAGAZINE

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