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MAX LELLI 1

MAX LELLI



Al Tour de France il campione toscano ha interessato e divertito, per capacità di analisi e chiarezza di giudizio.

 

 

Nato a Manciano (GR), dove tuttora vive e gestisce uno splendido agriturismo, “Il Raduno”. Professionista dal 1989 al 2004, è considerato uno dei migliori ciclisti di sempre per le grandi corse a tappe. Nella sua carriera ha disputato 11 Tour de France , 7 Giri D’Italia, 9 Milano-Sanremo, 4 Liegi-Bastogne-Liegi, spicca tra i suoi successi il campionato italiano a cronometro del 1995. Luglio di quest’anno, lo ha invece passato dietro il microfono di Rai Sport, dove la sua prima esperienza giornalistica è stata decisamente apprezzata.

 

 

Max Lelli, come è stato vestire i panni del cronista di una manifestazione, il Tour de France, a cui hai partecipato da ciclista per ben 11 volte?

 

E’ stata una bellissima esperienza. Dopo tanti Tour in sella, tornare in una veste completamente diversa mi ha fatto un certo effetto La vedi da atleta, corri, sei attento alla prestazione. Poi dietro un microfono tutto cambia, perché riesci a notare anche quello che pedalando non avevi visto. Dal punto di vista dell’organizzazione, ad esempio, mi ha colpito davvero molto la mole di persone che vi lavorano, circa 6mila. Un vero e proprio piccolo paese che marcia e si muove tutti i giorni. E poi le 150 televisioni da tutto il mondo. Ed il clima di eccitazione, dove tutti vogliono essere al top, tutti vogliono apparire, anche perché il Tour de France è davvero un evento di livello planetario.

 

 

Cosa hai pensato quando ti è arrivata la chiamata dalla Rai? Come hai preso questa nuova convocazione?

 

Mi ha fatto molto piacere. In genere, quando smetti con il professionismo, hai un po’ la nausea del ciclismo. Io invece ho avuto una fortuna, quella del cicloturismo, che mi ha permesso di rimanere nell’ambiente. Oggi nel mio agriturismo in Toscana continuo ad occuparmi di bicicletta, e questo mi ha sempre mantenuto legato, con piacere, a questo mondo. Le corse sono un’altra cosa, viste da vicino mi mancavano, ed all’inizio ho dovuto studiare ed imparare molto. Non sarò andato benissimo, ma neanche male male. Di sicuro ho sentito anche un po’ di emozione.

 

 

 

Da dietro il microfono Rai, come hai visto questa edizione del Tour de France?

 

Secondo me in questo Tour l’organizzazione ha un pò esagerato con le tappe trabocchetto. La prima settimana è sempre impegnativa, ma quest’anno erano ben nove le tappe complicate, subito all’inizio. Erano quasi delle mini classiche, in cui i corridori sono stati costretti a prendersi più rischi, che poi hanno portato anche ad un numero maggiore di cadute. Capisco che l’organizzazione cerchi sempre lo spettacolo, ma io penso da corridore, e quando vai in terra non è bello. Mi sono accorto che c’era tensione in mezzo al gruppo, si è rischiato molto anche se le strade erano strette, c’era tanto vento di fianco, oltre ad alcuni arrivi in salita. Capisco bene che la corsa è corsa, ma sono convinto che piuttosto sia comunque molto meglio fare un bell’arrivo in salita che aiuti a delineare la classifica generale.

 

 

 

E lì, al centro della gara, nel mezzo del gruppo, cosa è cambiato rispetto a quando lì c’eri tu, in sella, a battagliare pedalata dopo pedalata?

 

Magari nel nostro ciclismo abbiamo vissuto un po’ di sano nonnismo. Passavi vicino ai grandi di allora, e stavi attentissimo a non sfiorarli. Ai miei tempi una priorità era non danneggiare nessuno degli atri atleti. Adesso invece tutti fanno tutto; si taglia la strada, magari senza neppure sfiorare i freni…ognuno vuol fare la propria gara, ed anche questo fa crescere i rischi. In ogni caso, mi sento di dire che quando non c’è rispetto tutto diventa più difficile.

 

 

Ci fai un veloce raffronto tra Giro d’Italia e Tour de France? Quali le differenze, secondo te?

 

Dal punto di vista dei percorsi, in Italia abbiamo tappe più belle, con molte salite davvero mitiche. Dal punto di vista organizzativo, in Francia sono invece nettamente avanti; lo si vede anche dal villaggio, dai premi, dai tanti elicotteri che sorvolano la tappa, ed anche dalla carovana…quando correvo non l’avevo mai vista, mentre quest’anno, che mi sono potuto dedicare alla cronaca di ciò che succedeva, mi sono accorto che ci vuole un’ora e mezza prima che passi tutta. Quando poi si dice che il TdF sia visto “da tutto il mondo”, non è una esagerazione. Il Tour è il terzo evento sportivo più seguito in tutto il pianeta. Però, lo ribadisco, dal punto di vista del percorso non c’è partita: le nostre tappe hanno storia, e per questo sono molto più affascinanti. Le salite del Tour le percorri solo per sport, ma non ti lasciano nulla.

 

 

 

Un tuo personale commento su quel paio di episodi che hanno “macchiato” il pubblico di casa…

 

I francesi non si sono comportati bene in due, tre occasioni, e questo mi dispiace, molto. La questione grave del ciclismo è che i tifosi hanno il contatto diretto con i corridori; devo dire anche che da atleta (da buon toscano sono amico di tutti ,ed anche molto trasparente), che non è facile stare coi francesi, che ti guardano un pò come se tu fossi il cugino sfigato…

 

 

Andiamo sulla strada. La vittoria di Froome, le fatiche di Nibali. Il parere di Max Lelli.

 

Froome non è il primo atleta che vince con l’agilità, che ormai è una componente sempre molto più impattante. Non a caso il team Sky è una squadra che investe molto su ricerca, sulla programmazione dell’atleta, e stanno avendo buoni risultati. Ma anche loro non sono perfetti, al Giro hanno fatto sbagli grossolani, vedi la ruota bucata di Porte senza vicino alcun gregario a proteggerlo, pronto ad aiutarlo. Errore poi pagato in maniera molto pesante. L’Astana invece all’inizio non è stata all’altezza. Vincenzo è partito, ma non al massimo della forma. Le prime tappe richiedevano molta concentrazione, sono tratti in cui non puoi prendere il tuo passo, ma devi stare attento, e molto, anche al vento. Inutile girarci intorno, la squadra nella prima parte non è stata molto compatta, non c’era la giusta armonia; anzi, forse era presente anche qualche problema all’interno del gruppo. Mi ricordo perfettamente che quando correvo con la Saeco (stagioni 96/97) davamo tutti il 110%, ed eravamo anche amici al di fuori del nostro lavoro. Se vedevi un compagno in difficoltà, per lui davi più del massimo, sapendo poi che quando tu saresti stato in condizioni non semplici, lui lo avrebbe fatto per te. Nel ciclismo moderno la condizione non la trovi strada facendo, se punti a vincere un grande giro devi arrivare già pronto alla primissima tappa.

 

 

 

Usciamo per qualche minuto dai grandi Giri per toccare il tema di freni a disco, la cui sperimentazione è stata recentemente autorizzata dall’Uci. Come ti poni di fronte a questa sorta di novità, che comunque, volenti o nolenti, è destinata ad entrare presto sul mercato mondiale?

 

Io li uso da 7, 8 mesi, e devo dire che sono assolutamente favorevole. In un paio di occasioni ho avuto modo di metterli davvero alla prova. Ne racconto una in particolare: ho fatto la discesa del Monviso, pioveva fortissimo, ma ero solo e così ho provato a tirare al limite. Col freno a disco sei molto più sicuro. Quando piove con i freni normali devi anticipare la frenata, si crea una situazione da gestire, con difficoltà diverse da tratto a tratto, anche per via della polvere, dell’inclinazione, di quanta pioggia c’è sul manto stradale. E poi mi ricordo che anche nelle tappe più fredde frenare diventava difficile. Col freno a disco la frenata è più importante, è certa. E’ chiaro che non puoi inchiodare, ma sai che hai a disposizione una frenata più pronta. Non devi toccare le leve 150 metri prima, tra l’altro sperando di arrivare alla curva alla giusta velocità. Con i dischi, la frenata c’è. Il peso della bici aumenta, questo è vero; poi ci vuole qualche secondo in più per il cambio ruota. E poi c’è la questione sicurezza, di cui molto si dibatte, ma a dire il vero non credo neppure che i corridori possano subire danni fisici. Si usano anche in mtb, in corse importantissime, e fino ad ora non si è mai fatto male nessuno. Ultimo appunto: con le ruote in carbonio quel tipo di freno è perfetto.

 

 

 

Max Lelli cronista Rai…una nuova carriera che proseguirà? Sei piaciuto, e molto, al pubblico, per la qualità dell’analisi, la competenza, ed anche la chiarezza dell’esposizione.

 

Grazie, questo mi fa molto piacere. Che ci sia stato un certo gradimento, l’ho notato anche attraverso i Social. Io cerco di migliorare, sempre. Adesso ho ancora qualche impegno, qualche corsa da seguire con la Rai. Poi, sì, spero che la cosa vada avanti, anche se la certezza matematica non c’è l’ha mai nessuno. Ci sono tutti i presupposti; stiamo a vedere!

 

Fonte ROBERTO FEROLI Copyright © INBICI MAGAZINE

 

 

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