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IN ESCLUSIVA MAX LELLI: “PENURIA DI TALENTI ITALIANI? COLPA DEI SOCIAL”


Non è un momento confortante per i giovani ciclisti italiani. Dopo gli anni delle generazioni d’oro, oggi il nostro vivaio sembra meno florido e anche le campagne federali per rilanciare il ciclismo giovanile hanno dato, almeno fino ad oggi, risultati intermittenti.

Sulla crisi dei nostri settori giovanili abbiamo interpellato un grande conoscitore del mondo del pedale, l’ex professionista Max Lelli che, proprio in questi giorni, sta iniziando a lavorare all’interno del Comitato Regionale di Ciclismo della Toscana.

Max Lelli, quando eri un ragazzino alle prime armi di chi avevi il poster in camera? 

“Non ho nessun problema a dirti che ero un saronniano convinto e la cosa bella è che riuscii anche a stare in gruppo con lui. Saronni era a fine carriera, io appena agli inizi. Una volta c’era il circuito degli Assi con il paese diviso a metà tra Saronni e Moser. Era bellissimo vedere questi circuiti, come accade ancora oggi in Francia dopo il Tour. I circuiti veri, purtroppo sono terminati ad inizio anni ’90 ma, a quei tempi, raccoglievano tantissimi appassionati”.

Che sensazioni hai sulla situazione generale dei giovani? 

“Di talenti ce ne sono. Certo vorrei ce ne fosse qualcuno anche in Italia, ma al momento non ne vedo e questo mi preoccupa. A livello mondiale ci sono molti talenti, che fanno anche il ciclocross, vengono dalla multidisciplina, che credo sia un po’ il futuro. Penso che tutte le istituzioni del ciclismo, ad ogni livello, dovrebbero lavorare in questo senso, perché la multidisciplina ti dà a livello fisico grossi vantaggi”.  

photo Luca Bettini/BettiniPhoto©2020

Una nuova annata che, Covid permettendo, almeno in Italia, dovrebbe aprirsi con il Laigueglia. Che sensazioni hai per la nuova stagione? 

“E’ una stagione un po’ particolare. Sperando che tutto possa ripartire con le nuove regole. Bisogna ricominciare perché, se si perdono sponsor, non ci saranno più squadre. Già in Italia non siamo messi molto bene, se ripenso a come eravamo negli anni ’90 a livello di squadre e come siamo messi oggi, mi fa molto pensare. Noi abbiamo insegnato il ciclismo al mondo intero dal punto di vista delle bici, della tecnologia, dei direttori sportivi ed ora mi fa un po’ male vedere l’Italia messa così. Squadre a livello top non ce ne sono, ragazzi interessanti ce ne sono pochi, anche rispetto a Nazioni che prima erano molto più indietro di noi, ma che magari hanno lavorato meglio con la multidisciplina, con l’educazione nelle scuole. Qualcosa che abbiamo sbagliato certamente c’è. Il ciclismo non è una passeggiata né si può dire che sia uno sport sicuro. Io in carriera ho visto mancare Casartelli, che era passato Pro con me alla Ariostea e Kivilev. Mi ricordo che di Casartelli ce lo dissero a 20km dall’arrivo e non riuscimmo più ad andare avanti. Questo per dire che nel nostro sport il rischio zero non esiste. Bisogna lavorare con le piste ciclabili, con i percorsi chiusi”.  

photo Roberto Bettini/BettiniPhoto©2020

Questa è la Generazione Z: quanto pensi abbiano influito i social nella mancanza di voglia di far fatica, aumentando la sedentarietà dei ragazzi? 

“Questo è il problema. Nella nostra generazione non c’erano i social, nulla di tutto quello che c’è oggi. Io ho iniziato da piccolo con il Pedale Mancianese e ho capito subito che questo sport mi piaceva tantissimo, che volevo arrivare a vincere le tappe al Giro. È importante già da piccoli avere un’ambizione, un punto di riferimento. Oggi giorno, come si è detto, questo non succede perché i ragazzi sono distratti dai social, non sono in grado di programmare il futuro. Oggi se non ti prepari, nello sport o nella scuola o se non hai le idee chiare, diventa difficile. Il tempo passa, passano gli anni e rischiano, i giovani, di aver combinato poco. Il nostro è uno sport di fatica, in cui fa freddo e spesso ti trovi in situazioni surreali; io mi ricordo una discesa dal Galibier in cui andarono a casa in 50 dal freddo che c’era. Sono cambiati i tempi anche in gruppo, manca la voglia di stare insieme”.

Max, la tua prossima avventura sarà all’interno del Comitato Regionale di Ciclismo della Toscana: quali sono le tue prime sensazioni per questo nuovo, prestigioso, incarico? 

“Mi fa molto piacere mettere a disposizione la mia esperienza. Ho trovato un gruppo molto preparato, ci sentiamo e ci confrontiamo tutti i giorni. Siamo un po’ in ritardo con i calendari perché, vista la situazione pandemica, tutto è slittato in avanti. Ma stiamo lavorando molto per fare il bene del ciclismo. Saverio Metti, il nuovo presidente, sta dimostrando di avere grande voglia di fare bene”. 

Quanto sarà centrale, all’interno del vostro progetto, la crescita del ciclismo dei giovani? 

“E’ fondamentale e, secondo me, c’è qualche problema da risolvere. Non voglio far polemica, ma nel calendario regionale ci sono troppe poche corse e dunque pochi giovani. Bisogna rimettere un po’ le cose a posto perché la Toscana ha dato al ciclismo tanti corridori in passato e in questa terra le corse non sono mai mancate. Quando correvo io da ragazzino c’erano cinque o sei competizioni giovanili in Toscana. Oggi mi dicono che ci sono meno corse perché ci sono meno corridori. È innegabile, ecco perché va ripristinato un lavoro formativo nelle scuole. La verità è che tanti genitori non sono più contenti nel mandare i propri figli in bicicletta perché è uno sport che non è a rischio zero. Dobbiamo lavorare sul tema della sicurezza e della prevenzione per consentire a questi ragazzi di tornare a pedalare senza preoccupazioni”.

Cultura “green”: in che modo proverete ad incentivare la popolazione all’uso della bici?

“Da punto di vista del cicloturismo, in questi anni, c’è stata una crescita importante. Io stesso organizzo gruppi e c’è gente che viene da tutto il mondo per avere il piacere di pedalare in Italia. Purtroppo non abbiamo un sistema di piste ciclabili armonico e ordinato come in tanti altri paesi; la Germania, ad esempio, che un anno e mezzo fa ci ha battuto come presenze annue registrate. Mi sono anche chiesto cosa andassero a vedere in Germania che, sul piano delle risorse culturali e paesaggistiche, vale molto meno di noi. Ma, probabilmente, là sono organizzati meglio di noi, le ciclabili sono tutte collegate e, soprattutto, investono di più nella pubblicità a livello mondiale. È chiaro che le nostre bellezze sono uniche al Mondo. Andrebbe ripristinato, magari nelle zone più centrali della Toscana o vicino al mare, un sistema di piste ciclabili più strutturato. Spesso sono opere iniziate ma mai terminate. E poi andrebbe messa in piedi una comunicazione maggiore a livello mondiale per far conoscere la Regione e le sue bellezze”.

a cura di M.M.  Copyright© InBici Magazine ©Riproduzione Riservata

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