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Santambrogio, all’inferno e ritorno



Mauro Santambrogio è caduto nella spirale della depressione dopo che, vinta la tappa dello Jafferau al Giro d’Italia, venne estromesso dalla corsa rosa per positività all’Epo.

 

Ma fino ad ora non c’è stata alcuna squalifica anche per il ‘mistero’ delle controanalisi che sarebbero negative a causa delle microdosi della sostanza.

Il corridore ha rotto il suo lungo silenzio la notte scorsa con un tweet inquietante: “Addio mondo”. Subito si è messa in moto una catena solidale per farlo desistere da insani propositi. Nel giro di poche ore il comasco ha ricevuto decine di messaggi fino a quando la mattina, sempre attraverso un ‘cinguettio’, ha rivelato: “Non ho chiuso occhio, ho riflettuto.

 

Ho rischiato di fare una cazzata più grossa di me e penso che non avrei risolto nulla ma solo portato tanta sofferenza a chi mi mi vuole bene. Vi ringrazio tutti per avermi aiutato a riflettere e avermi salvato”.

 

Sulla vicenda di Mauro Santambrogio proponiamo la testimonianza di Mario Pugliese, ex addetto stampa della Lpr, una delle prime squadre del corridore lombardo.

 

“Fu Omar Piscina, rampante team manager della prima Lpr (quella dei Bordogna), a scoprire Mauro Santambrogio. Del resto, Piscina – il demiurgo profetico, assieme all’amico Dima Konyshev, del progetto Tinkoff – aveva una propensione naturale per scovare i talenti.

Una sera, in un hotel di Riccione, mi presentò uno sbarbatello che si chiamava Oscar Gatto e fu sempre lui a credere in Mattia Gavazzi, quando il ciclismo l’aveva ormai emarginato per i noti problemi di droga.

E quando c’era da scegliere un giovane velocista, Piscina decise di puntare su Danilo Napolitano, che in tanti definivano uno “sprinter obeso” (in quell’anno vinse invece alla grande una Coppa Bernocchi). Ecco perché, di fronte all’elegante postura di quel giovane di Erba, Piscina ci vide qualcosa: “Il motore c’è – disse l’allora direttore sportivo Orlando Maini – speriamo ci sia anche la testa”. E invece, benché dalla cintola in giù, tutti gli addetti ai lavori abbiano sempre riconosciuto a Mauro Santambrogio “un talento purissimo” (parole di Roberto Damiani, altro talent scout dal fiuto sopraffino), la natura, come spesso accade, non ha completato l’opera, dando a quel Bronzo di Riace del ciclismo la testa di un Teletubbies.

 

E così, tra un mare di rimpianti, è nata e tramontata la stella di Mauro Santambrogio, campione predestinato ma dal carattere d’argilla. Introverso, chiuso a riccio, senza un pelo di barba, mi colpiva quando, nel clima da camerata del pullman, era l’unico ad arrossire. Ci hanno provato in tutti i modi a scovare, dietro a quel carattere da Bambi, un barlume di tigre, ma quasi tutti, alla fine, si sono arresi.

Da qui, probabilmente, l’inizio della fine, il ricorso ai paradisi artificiali. Ma Santambrogio non ha mai avuto il piglio del furbetto ed è probabile – come si dice nell’ambiente – “che quelli dell’antidoping l’abbiano beccato alla prima cazzatta”, dopo la prima e unica dose di Epo della sua vita. E speriamo che, un giorno, abbia la maturità per capire che, in fondo, quella è stata la sua vera fortuna.

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