Un figlio autistico e un padre appassionato di ciclismo. Da qui l’idea d’infrangere ogni barriera. Stefano Vitellozzi: “Nessuna illusione di normalità, solo il desiderio di assecondare le sue sorprendenti abilità”
Le loro immagini, per dirla alla Beethoven, sono un “inno alla gioia”, lo spot più bello per il ciclismo.
Il tandem lo guida Stefano Vitellozzi, una vita nel mondo della bicicletta (prima come Dilettante arrivato fino alla soglia del professionismo, poi come direttore sportivo di team Continental); sul sellino posteriore il figlio Francesco, 19 anni, un concentrato di energia e, dietro uno sguardo che sprigiona simpatia pura, una patologia che non è facile annoverare tra le disabilità: l’autismo.
“In effetti – spiega Stefano, residente a Sant’Elpidio a Mare – mio figlio sembra un congegno altamente sofisticato sceso sulla terra senza libretto d’istruzioni. E’ sempre difficile decifrare i suoi codici così come interpretare le sue potenzialità. Una cosa è certa: anziché rinchiuderlo in un istituto, come dicevano gli assistenti sociali, ho preferito farlo salire in bicicletta con me. Perché quello che conta, al di là delle terapie, è sempre la qualità della vita”.
E Francesco, su quel tandem, si diverte da matti, dimostrando anche un talento naturale per la bicicletta: “Lui, fin da piccolo, ha sempre praticato tanti sport – prosegue Stefano – ma vederlo confrontarsi soltanto con ragazzi con il suo stesso problema mi sembrava limitante. Lo sport, invece, infrange ogni barriera e, quando lui spinge sui pedali, la differenza con gli altri si annulla. L’unico problema è che Francesco non conosce il codice della strada, da qui l’idea di utilizzare, durante le Gran Fondo, un tandem”.
Stefano e Francesco sul passo Sella
Ma l’esperienza sulla bicicletta non è fine a se stessa. Il ciclismo, infatti, per Francesco ha una chiara valenza terapeutica, quasi taumaturgica: “Lui s’infila l’uniforme da solo – spiega Stefano – e, dopo ogni corsa, si fa la doccia in totale autonomia. Sono prove d’indipendenza che lo sport, in un certo senso, allena. E per lui sono passi avanti molto importanti”. Il ciclismo come terapia, lo sport come opportunità d’inclusione sociale, ma nel caso di Francesco è stato tutto favolosamente naturale.
“Il mio unico pensiero – conclude papà Stefano – è quello di metterlo nelle condizioni ideali per esprimere al massimo le sue abilità. Che sono numerose e, a volte, sorprendenti. Portarlo in bicicletta con me, farlo partecipe del mio mondo, non è una forzatura, ma un modo sicuro per renderlo felice. E il sorriso di mio figlio vale come una maglia rosa”.
Fonte redazione iNBiCi