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Gianni Moscon

BALLAN: “MOSCON? IL PODIO ALLA ROUBAIX È ALLA SUA PORTATA”


Alla vigilia delle grandi classiche del nord, parla l’ultimo italiano ad aver vinto Mondiale e Fiandre: “Il mio ciclismo era diverso, tra campioni e resto del gruppo c’era un abisso”

 

Ha un sorriso smagliante, ma la sobria semplicità del “ragazzo della porta accanto”. Eppure, con quella medaglia d’oro al collo – anche dieci anni dopo Varese 2008 – Alessandro Ballan avrebbe il diritto di volare tre metri sopra il cielo soprattutto dopo che, nel dicembre 2015, è stato completamente scagionato dalle accuse di doping che ne hanno deturpato, suo malgrado, il finale di carriera.

Classe 1979, ultimo italiano ad aver vinto il Mondiale e il Giro delle Fiandre, la sua storia è partita, come una favola, negli anni dolci dell’infanzia: “Avevo circa otto anni – racconta – e a mio fratello, in occasione della sua prima comunione, gli regalarono una bici. Era una normalissima bici da passeggio per bambini, ma io ne andavo matto e ne volevo a tutti i costi una come la sua. Mio padre non voleva comprarmela, ma in garage ne avevamo una da corsa da sistemare e, dopo tante insistenze, mio padre si decise a portarla da un artigiano del paese per farla rimettere a nuovo. Ricordo che era un artigiano molto bravo, aveva un sacco di lavoro e la mia bici non era mai pronta. Per un mese, per tutte le settimane, andai a chiedere se fosse pronta; alla quarta settimana, finalmente, la ritirammo. Era rossa e la adoravo. Ci andavo ovunque, anche a scuola. Mi piaceva così tanto che, alla fine, mi misi a correre in un piccolo club della mia zona”.

Quando hai deciso di far diventare il ciclismo la tua professione?

“Ho perso mio padre all’improvviso quando ero molto giovane, avevo sedici anni. Avevamo un’attività di famiglia da mandare avanti e così, oltre alla scuola, mi resi conto ben presto che, con mia madre casalinga, c’era la necessità di portare i soldi a casa. Perciò, dopo aver fatto i più svariati lavori, insieme a mio fratello pensammo che, forse, vincendo qualche gara, con il ciclismo saremmo riusciti a mantenerci. La decisione fu tutt’altro che semplice anche perché per me la bici era sempre stata un gioco e, fino a quel momento, non avevo mai pensato che potesse diventare un vero e proprio lavoro. La fortuna è che oggi, nonostante tutto, la bici continua ad essere un bel gioco per me. Non ho mai perso l’entusiasmo dell’infanzia e, a questo punto, credo che non lo perderò mai”.

Inevitabile, visto il momento, non chiederti delle classiche…

“Sono innamorato delle classiche, da sempre. Sono corse speciali per i percorsi e per il fantastico pubblico che fa da cornice. Ricordo l’impatto delle prime volte: non ero ancora conosciutissimo, ma dietro le transenne c’erano tante persone che già conoscevano il mio nome, avevano gli striscioni e m’incitavano come fossi un campione. Non lo dimenticherò mai. Inoltre le classiche si addicevano molto alle mie caratteristiche, come del resto si evince dai risultati che ho ottenuto in carriera. Al di là delle vittorie che tutti ricordano, infatti, nelle gare di un giorno sono sempre andato bene”.

Alessandro Ballan

 

Sei ancora oggi l’ultimo italiano ad aver vinto il Mondiale e il Giro delle Fiandre: che differenze avverti nel ciclismo di oggi rispetto al ciclismo che hai vissuto tu?

“In effetti, anche se non mi sono ritirato da tanto, io mi sento figlio di un ciclismo diverso da quello attuale, un ciclismo nel quale tra i corridori davvero forti e il resto del gruppo c’era un divario enorme. Un ciclismo in cui contava molto quello che ‘madre natura’ ti aveva messo nelle gambe. C’erano già i preparatori atletici ed programmi di allenamento, ma non erano così fondamentali come adesso perché, alla fine, toccava sempre gli atleti fare il lavoro più importante su se stessi. Oggi nel ciclismo, come in molte altre discipline, i materiali che migliorano le prestazioni, i preparatori atletici e molti altri fattori hanno sensibilmente alzato il livello medio delle prestazioni di tutti e così il gap tra gli ‘alieni’ ed i comuni mortali si è assottigliato sempre di più, rischiando, secondo me, di rendere la disciplina un po’ noiosa”.

Cosa c’è oggi nella tua vita da ex medaglia iridata?

“Purtroppo ho chiuso la carriera non proprio nel migliore dei modi con quella brutta storia di doping, ma ne sono uscito completamente pulito e, anche con il senno di poi, non ho davvero nulla da rimproverarmi. Sono stati sei anni lunghi in cui ho dovuto affrontare momenti davvero difficili, momenti nei quali, se non avessi avuto la vicinanza della mia famiglia che mi ha dato stabilità e serenità, non so come avrei fatto. La cosa più bella è che ho sempre trovato tanto affetto tra la gente e questo mi ha dato la forza di cui avevo bisogno. Ancora oggi, quando sono invitato agli eventi o quando accompagno le persone in giro e pedalo con loro, sento tutto il loro affetto, e questo è impagabile.”

Parliamo dei tuoi eredi: c’è qualche giovane atleta italiano che ti emoziona particolarmente?

“Gianni Moscon è sicuramente un ragazzo sul quale riporre molte speranze; io alla sua età ero professionista da appena un anno, lui invece è già un corridore d’esperienza e ha già dato prova di avere grandi capacità. E’ competitivo su tutti i terreni e sa tenere le distanze, sono in pochi ad avere entrambe le caratteristiche. Da lui mi aspetto molto; sicuramente un podio alla Parigi-Roubaix, ma non mi meraviglierei di vederlo davanti anche al Fiandre. Da tener d’occhio anche Daniel Oss e Matteo Trentin, passato alla Mitchelton-Scott, che potrebbe diventare l’uomo di riferimento del team”.

Alessandro Ballan

 

 

 

 

 

 

 

a cura di Eleonora Pomponi Coletti Copyright © INBICI MAGAZINE

 

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