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FRANCESCO MOSER: “LA VIGNA VAL BENE UNA ROUBAIX”


“La Moserissima? Una splendida occasione per rivedere vecchi amici e conoscerne di nuovi”

 

Quando lo vedi spuntare, col cappello da pistolero, cavalcando il trattore tra i vigneti della sua tenuta di Castel di Gardolo, capisci subito che oggi Francesco Moser è un uomo appagato. Il fisico è quello asciutto di sempre e, se non fosse per quella chioma argentata, si direbbe che per lui le lancette del tempo si siano quasi fermate.

Rispetto al Moser corridore, però, il viso è più rilassato e il sorriso – assai raro ai tempi spigolosi delle corse – oggi sgorga limpido come il nettare dei suoi vini.

Per il resto, è il Moser di sempre. E quando lo vedi camminare anche oggi con quegli stivaloni imbrattati di fango capisci il motivo per cui, in passato, qualcuno l’ha soprannominato “Lo sceriffo”.

Dopo i convenevoli, ci presenta, con orgoglio, la sua cucciolata di bovari del bernese, accende le luci del museo privato, poi apre un bianco Trento doc e, tra una battuta e l’altra, l’intervista può cominciare: “La Moserissima? E’ stata una bella idea e sono davvero grato ad Elda Verones che ha insistito per farne un appuntamento fisso. Per me e Aldo è l’occasione di una pedalata piacevole sulle strade di casa, il pretesto per incontrare gli amici di sempre. Ci sarà Simoni, Fondriest e tanti corridori del passato come Marino Basso e Franco Bitossi che, come noi, condividono l’amore per la bicicletta”.

Ci sono campionissimi che, imborghesiti dalla ricchezza, recidono il loro legame con la terra d’origine e – come gli zii d’America – tornano al paese una volta all’anno con l’auto lucida e le sporte di regali sottobraccio. Francesco Moser, al contrario, vive da sempre in simbiosi geometrica con il “suo” Trentino, fiero della sua identità e geloso custode delle tradizioni di questa terra. Qui, sul fianco di una collina, ha costruito il suo eremo e qui – dove è nato – concluderà la sua esistenza: “Non potrei mai vivere lontano dai miei vigneti – dice – con i soldi guadagnati in carriera non ho mai avvertito il bisogno di prender casa a Montecarlo. Prima vivevo per il ciclismo, adesso la mia grande passione è il vino. Cavalcare una bicicletta è sempre un’emozione particolare, ma anche il trattore regala le sue soddisfazioni”.

Con Moser – soprattutto davanti ad un calice di bianco – si può parlare del ciclismo di ieri e di oggi e la sua analisi, mai banale, è sempre una lezione preziosa, da ascoltare in liturgico silenzio:   nelle grandi corse a tappe, tra Vincenzo Nibali e Fabio Aru, siamo competitivi. Peccato che manchi il corridore italiano da classica ed anche un velocista di rango mondiale. Le ragioni? Il World Tour ha rivoluzionato il ciclismo, costringendo i team ad investire cifre troppo alte. Una stagione tra i professionisti, anche ai miei tempi, costava parecchio, ma come è possibile pensare a budget di 10-15 milioni di euro? Qualche anno fa i ciclisti più forti correvano tutti da noi. Oggi di squadre italiane ad alti livelli non ce ne sono. Anche il calendario dei professionisti, ai miei tempi, era concentrato soprattutto in Italia, dove c’erano tantissime corse. Oggi invece le gare italiane si contano sulla punta delle dita”.

Ciclismo italiano in crisi, dunque? “Sì e no – risponde Moser -. Nel senso che, per quanto riguarda gli amatori, io credo che un movimento così dinamico e numeroso non l’abbiamo mai avuto. Dagli anni ’90 in poi sono spuntate tantissime gran fondo e, anche grazie alle campagne sulla eco-sostenibilità e sulle emissioni zero, la cultura della bicicletta in Italia ha fatto passi da gigante. Nella zona di Trento, ad esempio, dove vivo, c’è una rete ramificatissima di piste ciclabili ed anche il cicloturismo, che prima era un fenomeno di nicchia, adesso anche grazie al prezioso lavoro dell’Apt è diventato una realtà importantissima. Dunque, non si può parlare di bicicletta in crisi, anzi”.

Diverso, però, è il discorso legato ai professionisti… “In effetti – ammette – da questo punto di vista, non viviamo un periodo molto florido e temo che, in futuro, le cose non possano migliorare. Il problema è che c’è una carenza di vivai. In passato, ogni paese aveva la sua piccola squadra di ciclismo. Oggi, invece, i team sono diminuiti e per i talenti, soprattutto in provincia, le opportunità di affermarsi si sono ridotte drasticamente”.

Moser ci congeda con due bottiglie di bianco. Risale sul trattore e il cappello da sceriffo si perde nuovamente tra i vigneti. Come quando, ai bei tempi, si alzava sui pedali e salutava il gruppo.

 

a cura della redazione Copyright © INBICI MAGAZINE

 

 

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