Il senso profondo della leggendaria rivalità fra Fausto Coppi e Gino Bartali risiede, in fondo, tutto nella storica foto della borraccia: chi ha aiutato il rivale e, soprattutto, chi dei due ha chiesto aiuto all’altro?
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Il quesito, ovviamente mai chiarito dai due contendenti, spiega più di ogni racconto il significato recondito di una rivalità senza “vincitori né vinti”, in cui ancora oggi – oltre mezzo secolo dopo – porta commentatori e tifosi a porsi la stessa identica domanda: chi era il più forte dei due?
Albo d’oro alla mano, Coppi (cinque Giri e due Tour) fu superiore a Ginetaccio (tre Giri e due Tour), il quale però – cinque anni più vecchio di Fausto – vide parte della sua carriera rovinata dalla seconda guerra mondiale. E poi, pontificano i sostenitori di Bartali, il Tour de France del 1948 vinto dal toscanaccio vale da solo i cinque Giri del Campionissimo, visto che, a detta di molti, quella vittoria – epica nei modi in cui arrivò – contribuì ad allentare il clima di tensione in Italia dopo l’attentato a Palmiro Togliatti e dunque a scongiurare una probabile guerra civile.
Comunque la pensiate, la rivalità Bartali-Coppi è stata nel secondo dopoguerra uno degli argomenti, sportivi e non, più dibattuti d’Italia: una delle più famose rivalità sportive nel mondo dei pedali (insieme a quella tra Alfredo Binda, Learco Guerra e Costante Girardengo prima, e tra Giuseppe Saronni e Francesco Moser poi). La rivalità, tra due delle più grandi personalità “mitizzate” dello sport italiano, ha riempito per oltre un decennio le cronache sportive e mondane della nazione, contribuendo in modo fondamentale a rendere il ciclismo uno sport di massa al centro dell’attenzione dei mass-media.
All’epoca la rivalità tra i due campioni era vista come una metafora per la suddivisione politica e sociale del paese, diviso tra movimenti di ispirazione laica (impersonati da Coppi) e d’influenza cattolica (che Bartali rappresentava con la sua devozione e i suoi riti della tradizione popolare).
Con le prime elezioni della neonata repubblica italiana, Coppi e Bartali divennero, loro malgrado, i simboli dei due principali partiti politici in lizza, il Partito Comunista Italiano e la Democrazia Cristiana: Coppi era definito comunista, mentre Bartali era il democristiano. Questa divisione era soprattutto strumentale e, in fin dei conti, poco aderente alla realtà: Coppi e Bartali, non a caso, erano stati ricevuti insieme dal Papa. Tuttavia, la forte immagine cattolica-democristiana di Bartali necessitava una figura in antitesi che rappresentasse i movimenti socialisti, per cui Coppi venne eletto a simbolo dei partiti di quest’area, che si identificavano anche con la laicità del campione.
Bartali e Coppi sono stati forse i più importanti ciclisti italiani di sempre, nonché figure di assoluto primo piano nel panorama sportivo mondiale degli anni quaranta e cinquanta. Tra il 1940 e il 1954, i due si diedero battaglia dominando ben otto Giri d’Italia (rispettivamente 5 e 3), conquistando 39 tappe (22 Coppi, 17 Bartali), 4 Tour de France (due a testa), sette Milano-San Remo (4 Bartali, 3 Coppi), più numerose altre competizioni per un totale di 124 vittorie di Ginettaccio Bartali e 122 dell’Airone Coppi.
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