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Tour de France 2018 - 105th Edition - 2nd stage Mouilleron Saint Germain - La Roche sur Yon 183 km - 08/07/2018 - Sylvain Chavanel (FRA - Direct Energie) - photo Luca Bettini/BettiniPhoto©2018

CHAVANEL, HEROIQUE


 

Il ciclismo è lo sport degli “uomini soli al comando”. Che sia il Giro d’Italia, il Tour de France o qualsiasi altra corsa, lo spettacolo offerto è quasi sempre quello di ragazzi soli, là davanti. A volte sono tre o quattro, altre invece ce n’è solo uno. Oggi si chiama Sylvain Chavanel, maglia Direct Energie. Ha trentanove anni ed è il suo diciottesimo Tour. Un compleanno in cui si diventa grandi. E’ l’unico della storia che ci sia mai riuscito, Voigt e O’Grady si sono fermati a diciassette. Heroique.

La prima volta che vinse al Tour de France era il 25 luglio del 2008, quasi 10 anni ormai. Aveva ventinove anni, si arrivava a Montluçon ed aveva lasciato il gruppo al chilometro 78 di corsa; aveva battuto il suo compagno di avventura Roy allo sprint; l’aveva così tanto voluta che non passava giorno, in quel Tour, che provasse ad andare in fuga. L’aveva così tanto voluta, in quel modo, o magari avrebbe preferito arrivare solo, per concedersi il lusso di riposare le gambe almeno per gli ultimi metri e poter osservare la pelle d’oca che spunta sulle braccia ad un francese che vince in Francia una tappa della corsa più importante al mondo. Heroique, gli avevano detto allora.

Sylvain è un barodeur, ovvero un avventuriero che fugge. Ha tratti marcati in volto, che definiscono in maniera inconfondibile i suoi zigomi e la curva del suo sorriso. E’ un cosiddetto cagnaccio, che in bici morde, giù dalla bici è di una dolcezza incredibile. Sylvain lo chiamano “Mimo” o “Mimosa”, in forma estesa. Mimosa è n personaggio de “Un’epoca formidabile”, pellicola di Gérard Jugnot, ed è un vagabondo, un uomo che gira il mondo e magari fugge; e qualche somiglianza, sportiva in questo caso, è facilmente riscontrabile. E, ad essere romantici, la mimosa è un fiore giallo, come la maglia del Tour, che Sylvain ama alla follia. L’amore è ricambiato, assolutamente ricambiato.

Mimosa è uno di quei corridori maledetti che in gruppo ci stanno male. Hanno bisogno di respirare, di ribellarsi, hanno necessità di sentirsi vivi e felici, per questo scappano. La ribellione rende felici, si sa. E Sylvain scappa, anche oggi che ha trentanove anni. E si sente felice, da solo, in mezzo alla sua gente, che sua proprio non è perché lui è della Nuova Aquitania, ma è sua lo stesso, perché i francesi, in patria, sono come patrimoni preziosi; in più, la sua squadra è nata in Vandea. Se la gode, questa calda e nervosa tappa, ad un certo punto allarga le braccia per salutare, come se avesse oltrepassato un traguardo visibile solo a lui; un po’ come se avesse vinto. E forse lo ha fatto per davvero.

Mimosa viene ripreso al gruppo, quando al traguardo reale, i chilometri non sono nemmeno così tanti. Si volta, gli altri sono lì, sarà per la prossima volta. Si lascia sfilare, qualcuno lo saluta e gli fa i complimenti. Gli dicono che è stato bravo, e forse se lo dice anche lui. Adesso gli importa solo di arrivare al traguardo, perché gli hanno detto che è stata una tappa nervosa, piena di cadute, che ci sono anche stati dei ritiri. Ma del resto, Mimosa lo sa che il Tour de France è un giudice severo. Sta solo con sé stesso e riflette, e pensa. Davanti qualcuno ha già vinto, Peter Sagan gli giunge alle orecchie, che ha pure la Maglia Gialla. Passa il traguardo, sospira, sorride, ha sete e cerca il massaggiatore. Heroique, gli dicono anche oggi.

 

 

A cura di Giulia Scala per InBici Magazine

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