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IL DIAVOLO E LA JALETTA, NARRAZIONE A LATERE DELLA DUE GIORNI ROSA SUI MONTI DAUNI


1.Un secchio colmo d’acqua sospeso ad alcuni metri di altezza.

1. Un borgo medievale arroccato a 450 metri sul lago di Occhito.

2.7 rioni, bardati a festa come una volta, lesti all’assalto lancia in resta sfidando l’equilibrio.

2. Le 7 migliori del Giro Rosa tutte insieme , in barba alle pendenze più aspre.

3.Un galoppo di precisione per far centro ed evitare un esilarante scroscio d’acqua.

3. Una cavalcata su destrieri in carbonio sul filo dei centimetri.4.Centro perfetto, ovazione, parata in trionfo.

4. Braccia al cielo, urla di giubilo, esplosione rosa.

In un 2020 così anomalo, tanto strano che la cinquecentesca Giostra della Jaletta[1] non ha avuto luogo né il 20 agosto né in altra data, può capitare che l’energia di San Marco La Catola si riversi tutta su Elisa Longo Borghini, vincitrice dell’8^ tappa del Giro Rosa – sineddoche cromatica per indicare niente poco di meno che il Giro d’Italia femminile – in una insolita configurazione Dauna e settembrina.E se la Jaletta è nata per celebrare San Liberato Martire, per i colori italici la vittoria della Longo Borghini è a conti fatti una “liberazione” da un digiuno di vittorie azzurre interrotto lo scorso anno solo dall’impresa della Borghesi a Carate Brianza. Ma andiamo con ordine.

La 31esima edizione della creatura di Giuseppe Rivolta ha portato la carovana rosa (al quadrato) in un lembo di Puglia slow per definizione, sfaccettatura meno nota della provincia di Foggia, che si divide equamente tra Gargano, Tavoliere e, appunto, Daunia.Poi, a dirla tutta, le ragazze proprio slow non lo sono state, visto che i 91 km tra Castelnuovo della Daunia e San Marco La Catola li hanno percorsi in 2h34’, anticipando anche la più ottimistica delle cronotabelle. Eppure sono state accolte dal sovrano incontrastato di queste terre, il caldo e impetuoso vento di scirocco. Hanno pedalato all’ombra di estesi boschi residui, ma anche tra campi bramosi d’acqua, sotto un sole che se la rideva beffardo delle pendenze a doppia cifra, quelle che fanno ancora più male se affrontate senza il refrigerio che danno (almeno) i 1000 metri di altitudine. Ma tant’è, non è bastato per mollare un po’ il ritmo. L’ascesa di San Marco La Catola, 5500 metri all’8% di media (mai dato fu più bugiardo), picchi al 15% per complessivi 451 metri di dislivello, nemmeno una iarda di ombra fino a quando non ci pensano (un po’) le prime abitazioni del borgo, è a tutti gli effetti una novità per il grande ciclismo. Perché si, smettiamola di fare gli schizzinosi, quello espresso dalle ragazze è Ciclismo con la “C” maiuscola, forse un pizzico più artigianale, ma autentico, avvincente, imprevedibile, temerario e, soprattutto, pioniere. Nel senso letterale del termine, “che va in avanscoperta”. Merito questo da riconoscere a Rivolta, che prima di tutti ha portato una corsa ciclistica sullo Zoncolan, a Castel del Monte e, in ultimo, sui Monti Dauni.

Così la giostra della Jaletta 2020 si è concretizzata nelle cariche al galoppo lanciate da Anna Van Der Breggen ai -3,5 dall’arrivo, nelle risposte puntuali di Elisa Longo Borghini e nei colpi a vuoto di Katarzyna Niewiadoma, che pedalata dopo pedalata già sentiva la maglia rosa scivolarle di dosso. Il colpo di grazia, o se vogliamo da maestro, lo dà una terribile rampa che collega il borgo al convento che nel 1918 ospito Padre Pio da Pietrelcina – che forse qualcuna avrà invocato affinché la tortura terminasse presto – con la maglia rosa che molla e il duo di testa che va a giocarsi la Jaletta in un serratissimo sprint. E sotto l’arco rosa, tra due ali di folla gioiosa (qualcuno giura di aver visto birra scorrere a fiumi e l’aria inebriarsi di “c’catill” col sugo di cotechino) tutte quelle che arrivano dietro sono sempre più una smorfia di fatica e di sudore, con le gambe pietrificate dai crampi e incapaci dell’ultimo colpo di pedale, bisognose di un sostegno subito dopo l’arrivo. Scene da Zoncolan, appunto. Ma 1100 metri più in basso.E se poi dopo la tappa ti vien voglia di fermarti su un tavolo da sagra, per buttare giù due righe sulla tappa, ti ritrovi accerchiato dai Giovanni, Felice, Frankie e tutta l’allegra compagnia di turno, che tra un amaro e una birra, rigorosamente offerti (non sia mai, si offenderebbero!), ti coinvolgono nella storia del paese e, in men che non si dica, ti ritrovi (1) invitato a cena, (2) coinvolto nella narrazione della Jaletta, (3) in visita guidata dedicata nel borgo, (4) con una forma di pane di San Marco in mano – sì, è di quelli che dura una settimana – (5) coccolato dalla descrizione di luoghi magici, in cui è indispensabile tornare.Chissà se qualcuno ha pensato di donare una riproduzione della Jaletta a Elisa Longo Borghini – onore che spetta al rione vincitore ogni 20 agosto – ma non ci sono dubbi: è lei la vincitrice della Giostra di quest’anno.

Nuovo giro, nuova corsa. La scommessa di concludere un grande giro in un borgo conduce dritti a Motta Montecorvino: lo scenario cambia radicalmente e i boschi residui cedono il passo ai campi di frumento in parte già percorsi dal fuoco. I 27,5 km del circuito che prevede l’ascesa di Volturino e di Motta (per 4 volte!) hanno un convenuto non invitato e di certo non gradito: è il diavolo che siede sul suo trono. In fondo cosa aspettarsi se l’intero tracciato è dominato dalla torre medievale di Montecorvino, costruita dai Bizantini, distrutta da Ruggero II nel 1137, ricostruita, nuovamente distrutta nel 1332 da Ladislao II e nel 1441 da Alfonso d’Aragona e definitivamente mutilata dal terremoto del 1452 che ne ha plasmato, per sottrazione, la perfetta forma di una sedia. Del diavolo, appunto, visto che non vuole cedere la sua bramosia di controllo, che da qui può crogiolarsi nel mandare vento e calore sulle cicliste che hanno già da pensare all’ultimo assalto alla maglia rosa.

Ma dopo 9 giorni di corsa nulla può arrestare la voglia di raggiungere il traguardo, i capricci del meteo sono poca roba rispetto alle paure di finire fuori tempo massimo. In fondo da queste parti si dice che “la processione si fa comunque, dovessimo tornare senza scarpe, calze e mutante” riferendosi alla festa di Sant’Alberto che ogni 16 maggio, dal 1889, porta ai piedi della torre pellegrini dai tre paesi limitrofi in 7 km di cammino sin su in cima. Che piova (tutto è nato per implorare al santo di far venir giù acqua dal cielo), che faccia caldo o soffi una bufera nulla cambia: la processione va avanti. Così il Giro Rosa è andato spedito alla meta, incurante di quel vento che qui definiscono “parrucchiere, stilista, guastatore, malandrino”.

Si dice che Motta derivi dal latino “mox”, vicino, per indicare il continuum topografico con l’antica Montecorvino – che si estendeva ai piedi della torre[2] – ma sebbene sempre in vista, per le atlete è stata costantemente distante. Perché è vero che le protagoniste della classifica si sono controllate, ma la corsa è stata estremamente nervosa con attacchi ripetuti sin dai primi chilometri. In fondo il diavolo non è certo foriero di tranquillità e si frega le mani in attesa di spegnere sul più bello le speranze di Letizia Borghesi prima e Erika Magnaldi poi, oppure di strozzare l’urlo in gola di Niham Fisher-Black, beffata ai 30 metri dall’imperioso scatto della francesina Evita Music (3h16’30” a 33,55 km/h).

Con la festa rosa di Anna van der Breggen cala il sipario sulla 31esima edizione del Giro Rosa, non senza un paio di doverosi ringraziamenti: alle ragazze per aver rivendicato con forza, ogni giorno, il loro spazio nel movimento ciclistico e a chi ha strenuamente voluto che il Giro si lasciasse cullare dalle atmosfere daune, dal fascino dell’Italia nascosta che ha nei borghi il suo tesoro. Anche e soprattutto ciclistico.

[1] Giostra cavalleresca che si tiene ogni anno il 20 agosto a San Marco La Catola. 4 cavalieri per ciascuno dei 7 rioni del borgo si sfidano nel percorrere, verga in resta, un tratto del corso cittadino prospiciente il castello dei duchi Pignatelli con l’obiettivo di infilare l’asta nell’occhiello di un secchio in legno – la Jaletta – colmo d’acqua e sospeso a una fune. Vince chi centra il foro e, possibilmente non si fa bagnare dallo scroscio d’acqua che ne consegue. A seconda dell’andatura scelta dal cavaliere (galoppo, trotto o passo) si assegna un diverso punteggio. . È organizzata dalla ASD Giostra della Jaletta.

[2] Montecorvino era una delle città bizantine fondate intorno al 1015 insieme a Civitate, Fiorentino, Dragonara e Troia. Le campagne di scavo svolte attualmente nei pressi della torre stanno restituendo una seconda torretta castrense, una piccola chiesa signorile, la planimetria dell’antica cattedrale e la sede vescovile. E numerosi sono i reperti mobili, quali maioliche, vetri colorati, anelli e monete bronzee (da Foggia Reporter).

Articolo a cura di Roberto Ferrante 

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