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Il mondo degli sprinter raccontato dal più forte: Alessandro Petacchi ripercorre vittorie e sconfitte di una carriera esaltante: “La Sanremo? Per vincerla devi perderla tante volte

Canale InBici Media Group

 

Lui si chiama Alessandro Petacchi e dunque presentarlo, per chi in questi anni non ha vissuto sulla luna, è del tutto superfluo. Con lui – il più forte velocista del secondo millennio (non è un’opinione, ma una definizione confutata dalle statistiche) – ripercorriamo la storia recente dello sprint mondiale. Spigolando tra passato, presente e futuro, Ale-jet scatta per noi una fotografia fedele e, a tratti inedita, del mondo dell’alta velocità.

 

Qual è stato per Alessandro Petacchi il velocista più forte di tutti i tempi?

Per la mia generazione, ovviamente dopo il sottoscritto (ride), dico Mario Cipollini. Per tutto quello che ha vinto in carriera, ma anche perché il suo modo di correre ha impresso una svolta epocale al ciclismo moderno. Mario è stato l’inventore del “treno” che, alla fine, abbiamo copiato un po’ tutti.

 

Oggi chi è il velocista più forte del mondo?

Malgrado sia reduce da una stagione un po’ tormentata dai guai fisici, a me piace molto Marcel Kittel. Del resto, non si vincono per caso otto tappe al Tour. Un velocista, per imporsi, deve avere una condizione fisica ottimale, ma quando il tedesco sta bene non vedo, al momento, un corridore in grado di mettergli la ruota davanti.

 

 

 

Alessandro Petacchi – Mark Cavendish Giro d’Italia 2011 ( credit foto Bettiniphoto )

 

 

E per il futuro su chi scommetterebbe?

Mah, ad essere sincero, in Italia vedo buoni prospetti, ma non ancora il potenziale campione. Potrei citare Andrea Guardini o Jakub Mareczko. Sono giovani di belle speranze, anche se mi pare che entrambi abbiano ancora qualche limite di tenuta, soprattutto sulle lunghe distanze.

 

Come è cambiata “l’alta velocità” rispetto ai suoi tempi?

Mah, quando correvo io, non tutti avevano in organico uno sprinter e dunque, negli ultimi duecento metri, la concorrenza era meno serrata. Solo negli ultimi anni praticamente tutti i top team hanno deciso di ingaggiare un velocista e, in alcuni casi, hanno costruito la squadra attorno a lui.

 

Perché Petacchi ha vinto così tanto?

A dire il vero non ho mai avuto il fisico del velocista puro, alla Robbie McEwen per intenderci. Gli sprinter, di solito, sono più minuti ed hanno una potenza esplosiva in grado di macinare velocità in pochi metri. Io, invece, ho sempre puntato sulla progressione e sulla capacità di mantenere una velocità elevata per distanze prolungate. Ero, come si dice, uno da “volata lunga”. Se parlassimo di atletica, possiamo paragonarmi ad uno specialista dei 200 metri, non certo ad un centometrista. Se ho vinto tanto, però, il merito è stato anche dei compagni di squadra, sempre fantastici a portarmi nelle condizioni ideali negli ultimi 150 metri.

 

A proposito, il famoso “treno della Fassa Bartolo” possiamo definirlo il più perfetto dispositivo tattico mai creato per un velocista?

Diciamo che, con il lavoro costante ed il perfezionamento quasi maniacale, prima alla Fassa e poi alla Milram, avevamo ormai raggiunto la perfezione. Io ero l’uomo del colpo di reni finale, ma ero un po’ avulso da quel gruppo, nel senso che, talvolta, non conoscevo neppure la strategia. Il mio compito era quello di stare dietro ad una ruota ed è quello che facevo fino agli ultimi 150 metri. I miei compagni, invece, erano molto compatti ed affiatati, studiavano i sincronismi in maniera ossessiva e, in certi momenti, in effetti, eravamo una macchina perfetta.

 

 

Volta Ao Algarve 2014 -Alessandro in testa al gruppo con i compagni della Omega Pharma – QuickStep (credit foto Bettiniphoto)

 

 

Non sempre il velocista più forte vince: a lei è capitato tante volte?

Sì mi è capitato e le sconfitte me le ricordo tutte molto bene. Anche perché, spesso, la colpa è stata mia. Ad esempio la vittoria nella Sanremo del 2005 nasce dalla bruciante sconfitta dell’anno prima quando persi forse quella che, sulla carta, sembrava la volata più facile della mia carriera. I ragazzi fecero, come al solito, un lavoro formidabile, portandomi ai 150 metri nelle condizioni ottimali. Ma quell’anno, pur essendo reduce da 9 successi, avevo corso poco, ero un po’ sovrappeso e, alla fine, mi mancarono le gambe. Tagliando il traguardo da sconfitto, però, capii che cosa dovevo fare per vincere la Sanremo. E l’anno dopo, infatti, non sbagliai. 

 

Resta quella la vittoria più bella?

Qualche giorno fa, navigando su youtube, mi sono imbattuto nel video di quella vittoria. L’ho riguardato almeno quattro-cinque volte e, in effetti, ho avuto la sensazione di aver fatto la volata perfetta. Ci sono state vittorie tecnicamente più impegnative, come quando a Rio Decimo il “treno” si spaccò e vinsi dopo una volata partita 800 metri prima, ma la Sanremo era il sogno da bambino e dunque esserci riusciti resta, anche dieci anni dopo, l’impresa di cui vado più orgoglioso.

 

Fonte  Mario Pugliese Copyright © INBICI MAGAZINE

 

 

foto testata:Alessandro Petacchi con la maglia della Fassa Bortolo vince la Milano Sanremo 2005 (credit foto Cor Vos)

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