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L’ATLETA DEL MESE 1

L’ATLETA DEL MESE



E’ stato uno dei più decorati downhillers italiani di tutti i tempi, forse il più forte in assoluto. E’ l’unico azzurro ad aver centrato la vittoria nella classifica finale di coppa del mondo di mountain bike, nel lontano 1997. Quest’anno, dopo 14 anni dalla sua ultima gara, il valdostano Hérin è tornato in corsa ed ha vinto il mondiale nella categoria Master in Val di Sole

 

E’ nato il 4 agosto del 1966, oltre mezzo secolo fa. Nella sua vita ha coronato i suoi sogni, soprattutto sportivi. Ed è proprio “sportivamente” che Corrado Hérin ha ottenuto i risultati più straordinari.

Eclettico, volitivo, deciso, spericolato, ma soprattutto preciso o, meglio, “precisino”, come è conosciuto nell’ambiente del mountain biking. Il valdostano di Fénis (poi trasferitosi a Torgnon, dove vive con la compagna Roberta e i due figli Ester ed Erik), ha incominciato a portare a casa coppe e trofei a 20 anni, quando nel 1986 vinse il primo dei due titoli mondiali di slittino su pista naturale, nel doppio, con Almir Betemps, anche lui valdostano. I due si sarebbero ripetuti nel 1992, in un anno importante per Hérin. Proprio nel 1992, dopo aver preso le misure con la bici da montagna, Corrado vinse infatti in maniera sorprendente il campionato italiano senior di downhill, a Buti in provincia di Pisa.

 

Sceso con la divisa del G.S. Nus Fénis, con bicicletta “front” e abbigliamento approssimativo (con tanto di casco e occhiali da slittino), questo “quasi-neofita” si prese il lusso di stangare tutti i migliori specialisti italiani. La sorpresa durò poco, per due motivi: il primo perché – proprio in una delle due run di quel campionato italiano (all’epoca si correva su due run) – si ruppe una vertebra e non potè partecipare ai mondiali di Bromont. Il secondo motivo era diverso: da lì a poco sarebbe diventato un fuoriclasse straordinario, una macchina perfetta. Una macchina da risultato.

Oltre a vincere gran parte delle gare in Italia, nel giro di due anni avrebbe vinto infatti una medaglia ai campionati del mondo di Vail negli Stati Uniti. L’apice della carriera di Corrado è stato il 1997, quando – nell’epoca di Vouilloz, Tomac e molti altri – vinse tre tappe consecutive della Coppa del Mondo e la classifica finale della Challenge. Dopo aver chiuso la carriera nel 2002 è stato tecnico della nazionale italiana, prima di diventare maestro di snowboard e pilota di ultra leggeri. Poi, stimolato dal “randagio” per eccellenza, Pippo Marani, nel 2016 il valdostano ha deciso di rifare un tuffo nel passato, ed ecco il motivo della nostra intervista.

 

Corrado, questo 2016 è stato un anno particolare per lei, che ha deciso di rientrare in pista per festeggiare questi 50 anni con un progetto particolare, stimolato da Pippo Marani. Come è nata questa decisione?

Direi per svariati motivi. In primis ho compiuto 50 anni un mese esatto prima dell’evento. Inoltre Pippo Marani mi ha spronato ad essere presente a “The Legend”, evento che raggruppava i migliori riders degli anni ’90, proprio nel palinsesto dei mondiali trentini.

 

Che ambiente ha trovato in Val di Sole?

Un ambiente bellissimo, anche se non correvo in quella location dal 2001, in occasione del campionato italiano. Peraltro feci anche da spettatore alle varie prove di coppa in Val di Sole e fui apripista nel 2010. Quest’anno il clima è stato caloroso e sono stato accolto benissimo sia dagli organizzatori che dai tifosi. Dopo la “mia” Pila, questa è un’altra stazione che mi fa sentire a casa.

 

 

 

Prima del mondiale, da lei vinto nella sua categoria, aveva anche partecipato a una prova del circuito Gravitalia a Pila, in quella che è un po’ la sua seconda casa, ottenendo un risultato di alto livello. In Val di Sole ci è andato con un piccolo team, fatto di famiglia e amici: che esperienza è stata?

A Pila ho deciso di iscrivermi all’ultimo, anche perché ero impegnato a tracciare la pista. Ho fatto tutto quasi “di nascosto”, altrimenti il mio amico Mauro Grange, organizzatore della gara, mi avrebbe tirato le orecchie. E’ andata benissimo, il fatto di parteciparvi mi ha aiutato in termini di concentrazione proprio in vista della Val di Sole. A livello di risultato, ho vinto a livello assoluto tra i master, ne sono felice. In Val di Sole ho potuto contare sulla mia compagna Roberta, che ha organizzato la logistica della trasferta ed é stata un punto di riferimento. Inoltre, avevo con me Julien Juglair, ex downhiller e grande amico che mi ha fatto da meccanico. Con loro c’era un carissimo amico di vecchia data, Massimiliano Barrel: anche lui aveva il “progetto” di fare un mondiale master, forse spinto dalla mia voglia di tornare in pista. Devo fargli i complimenti perché è stato impeccabile! Tutti insieme abbiamo condiviso una settimana davvero indimenticabile.

 

Lei ha fatto segnare in gara praticamente lo stesso tempo che aveva ottenuto nelle seeding run il giorno precedente (miglior tempo assoluto master, n.d.r.), probabilmente rischiando poco o nulla. Alla luce del risultato della gara nella quale ha vinto la maglia iridata di categoria, questo quarto posto assoluto tra tutti i Master le lascia un po’ di amaro in bocca?

Dopo aver fatto 4.00.58 in qualifica, la domenica in gara mi sono ripetuto con 4.00.92. Ho rischiato poco, ho fatto una run pulita, anche perché i primi avversari, in base alle qualifiche, erano a 6 secondi e 45. Forse questo fattore non mi ha stimolato a rischiare di più. Tra l’altro Nathan Rankin, uno dei favoriti, aveva chiuso in 4.11, per cui ero abbastanza tranquillo. Tra l’altro io correvo prima di loro, che hanno potuto sapere in anticipo il mio tempo e questo è stato un motivo in più per crederci. A saperlo, se avessi avuto qualcuno più vicino, in termini di tempo, magari avrei potuto osare di più, in modo di fare l’assoluta. Non nascondo che, dopo sabato, speravo nel miglior tempo assoluto, ma il bilancio è senz’altro positivo.

 

Ce lo dica sinceramente, è stata una comparsata o la rivedremo sui campi di gara?

Sinceramente non lo so. Per il momento una comparsata, non ho progetti attualmente, ma chissà cosa potrebbe succedere nel futuro… Ho trovato una forza e una concentrazione notevoli che mi riescono abbastanza naturali e quindi hanno reso il momento che ho vissuto bello e particolarmente stimolante. Questo rientro alle competizioni in Trentino è stato un modo per non rinunciare all’appuntamento “legends ‘90”, un incontro con le glorie della mtb italiana e straniera degli anni ’90 che si sono riunite proprio in Val di Sole.

 

Come è stato ritrovare gente come Zanchi, Migliorini, Caramellino, Bonanomi, Peat e Bruni?

Ritrovare vecchi amici, compagni di sacrifici e compagni di “gara” è stato bellissimo. E’ stata l’occasione per trovare gli atleti della mia epoca, anche stranieri. Alcuni di loro gravitano ancora all’interno dell’ambiente nel ruolo di tecnici o similari. Con gli italiani che avete citato ogni tanto ci si incontra per rivivere i bei momenti. Spendo volentieri due parole per Pippo Marani, il merito è tutto suo e ogni volta si supera nel creare eventi per farci ritrovare tutti insieme. E’ anche un bel  modo per far sì che le nuove generazioni sappiano chi erano i top riders di vent’anni fa!

 

 

 

Questa sua discesa mondiale pare sia stato anche un modo per dimostrare che la vostra generazione, contrariamente a quanto qualcuno possa pensare, era una generazione di vincenti, di piloti veri, capaci di guidare bene anche sui tracciati attuali…

Il rientro è stato una sfida personale, è partito dentro di me. E’ stato bello riuscire a far vedere ai più giovani che anche ai nostri tempi il livello era molto alto. Questo è stato un modo per adeguarsi ai percorsi e ai mezzi moderni, che ovviamente sono cambiati notevolmente. Le bici attuali ti permettono di andare più forte, ovvio che alla mia età manca soprattutto la preparazione fisica, questo è chiaro.

 

Veniamo al mondiale “vero”, quello vinto da Danny Hart, un talento incredibile che è ritornato al successo. Ma quello che abbiamo notato è che se da una parte i top riders francesi, britannici e australiani potevano contare su telemetria, staff tecnico di alto livello e logistica quasi da MotoGp, la nazionale italiana ha, purtroppo, ancora una volta dovuto fare i conti con le proprie tasche, tanto che a livello di immagine quanto di risultati, siamo parecchio indietro, almeno tra gli Elite…

Danny Hart ha una tecnica sopraffina e si è adattato benissimo al percorso, sfruttando anche un periodo (prima del mondiale) in cui lui ha provato e riprovato la pista per essere al top. Non dimentichiamoci che veniva da un periodo di forma strabiliante, basti pensare alla coppa del mondo appena vinta. Ecco, questo non può che averlo aiutato mentalmente. Per quanto riguarda la nazionale, ai miei tempi non è che fosse tanto meglio, anzi a volte dovevamo persino comprarci noi una maglia in più se quella che usavamo si strappava nelle cadute. Diciamo che nella DH l’immagine e il supporto maggiore arrivano sempre dai team, dai grandi team per i quali i riders corrono, non certo dalle nazionali. I risultati, a parte la bravissima Alessia Missiaggia che ha vinto tra le junior, tardano ad arrivare ma comunque il materiale umano c’è, vedasi Revelli, che per la verità ha pagato forse la pressione, oppure anche Bianciotto che ha segnato il miglior tempo tra gli junior nelle qualifiche e poi ha chiuso settimo.

 

Cosa manca all’Italia attuale della DH per ritornare grande?

Mancano tante cose, a partire dalle risorse a disposizione dei tecnici della nazionale per lavorare serenamente e con programmazione. Cosa che peraltro nemmeno noi, a nostri tempi, avevamo, ma era una mountain bike diversa, ora tutto è più esasperato. Manca una generazione che per vari motivi è saltata, proprio dopo l’uscita di scena del nostro gruppo, quello di Caramellino, Zanchi, Bonanomi, Migliorini, io stesso. Dopo di noi è mancata la continuità. Quest’anno al mondiale Migliorini, Zanchi ed io abbiamo supportato a titolo di amicizia i ragazzi della nazionale e il nostro lavoro spero sia stato apprezzato. Gli atleti dovrebbero essere più attenti a curare i rapporti con i media e con gli sponsor, ai nostri tempi Stefano Migliorini era un maestro in questo, lo stesso Bruno Zanchi ancora oggi corre con buoni risultati anche grazie ai cosiddetti ”contatti”. Insomma, con l’aiuto di aziende possono arrivare fondi e maggiori sono le risorse più è facile fare bene.

 

Chiudiamo con il suo ricordo più bello, ovviamente riferito alla DH…

Il ricordo più bello è la Coppa del Mondo vinta nel 1997, ma devo dire che questo mondiale Master ottenuto dopo quasi 15 anni di assenza, con tutto l’affetto della gente, dei piloti e dei tifosi, mi ha riempito il cuore.

 

a cura di PAOLO MEI Copyright © INBICI MAGAZINE

 

foto by Mauro Mariotti

 

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