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PAGINE GIALLE

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Nell’agosto del 1954 i giornali sportivi (e non solo) celebrano il trionfo al Tour de France di “Louison” Bobet. Dallo stile raffinato alle vittorie, storia di un grimpeur bretone che stupì il mondo. Ma non l’Italia

 

 

Lunedì 2 agosto 1954: i giornali di mezzo mondo celebrano l’impresa di Louis Bobet, vincitore del 41° Tour de France. Lo scalatore transalpino aveva vinto anche l’edizione dell’anno prima e avrebbe trionfato anche in quella successiva, eguagliando in quell’anno il primato di vittorie (tre) fino a quel momento detenuto – dal lontano 1920 – dal belga Philippe Thys.

 

 

Bobet, il primo corridore della storia a vincere in tre edizioni consecutive del Tour, pose fine, nell’universo della Grand Boucle, al dominio di Fausto Coppi che aveva vinto nel 1952.

Eppure, in Italia, Bobet non godeva di grande credito, forse perché – a differenza del suo successore (il grande Jacques Anquetil) – non vinse mai il Giro (lo sfiorò nel 1957 arrivando ad appena 19 secondi da Gastone Nencini).

Eppure, in quel 1954, Bobet arrivò in giallo a Parigi con un vantaggio siderale: quasi sedici minuti (15’49’’) sull’elvetico Kubler. Per dare il senso di quel dominio, basti pensare che il nono classificato, il francese Gilbert Bauvin, arrivò in classifica generale con un distacco di oltre 42 minuti.

In un’edizione orfana di ciclisti italiani, Bobet vinse “solo” tre tappe, ma vestì la maglia gialla per ben sedici giorni (gli ultimi tredici consecutivi del Tour).

 

 

Prima che il Giornale, nella sua edizione del lunedì, ne celebrasse il trionfo parigino, qualche giorno prima – il 28 luglio del 1954 – Tuttosport lo aveva già incoronato dominatore incontrastato della Gran Boucle: “Louison Bobet – si leggeva nel titolo – dominatore sulla vetta dell’Izoard e 1° a Briancon, si conferma l’uomo più forte del Tour” e, nell’editoriale, con i toni enfatici dell’epoca, si parlò di “Una chiara dimostrazione”.

Bobet, che partecipò – interpretando se stesso – al film “Totò al Giro d’Italia”, morì prematuramente il giorno dopo il suo 58° compleanno (l’Equipe gli rese omaggio con il titolo “Morte di un eroe”).

In un’epoca di corridori pittoreschi e analfabeti, la maggior parte incapaci di andare oltre la frase “Ciao mamma, sono arrivato uno”, Bobet rappresentava, intellettualmente, l’eccezione.

 

 

Anche se era figlio di un fornaio e se arrivava dal paesino bretone di Saint-Meen-Le-Grand, c’era proprio qualcosa di speciale in Louis. L’accrescitivo Louison gli venne affibbiato per meriti sportivi, anche se nei giorni della prima grande sconfitta contro Bartali – al Tour del 1948 – Bobet si mise a piangere e i maligni lo soprannominarono “Louisette”. Ma questa commedia durò poco. Perché in carriera Bobet vinse e stra-vinse. Le grandi Classiche: Sanremo, Lombardia, la Roubaix e il Giro delle Fiandre che nessun francese aveva mai conquistato e poi il Mondiale sul Mont Ventoux (il monte calvo). E quanto vinci lì – come dicevano i cronisti di ieri e di oggi – non devi più dimostrare niente a nessuno. 

 

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