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“ONE TV so many emotions”

“ONE TV so many emotions”



Un’emozione unica, una gara splendida che mi ha fatto conoscere sia il fascino del deserto “by-night” sia di quello dell’alba.

Canale InBici Media Group

 

Mi trovo a Dubai, uno dei sette Emirati Arabi Uniti; non è la capitale ma in ogni caso forse l’Emirato più conosciuto in Europa.

 

La capitale invece è Abu Dhabi, non solo degli UAE ma anche del business legato al petrolio, da qui ogni giorno partono tonnellate di greggio destinate alle raffinerie di tutto il mondo.

 

Alle spalle di uno degli skyline più famosi, con il Burj Khalifa la torre più alta del mondo, il famoso Burj Al Arab, l’hotel a forma di vela e decine d’altri grattacieli famosi, c’è il… deserto. Chilometri e chilometri di dune di sabbia con qualche piccola oasi, flora e fauna; un deserto più vivo di quanto si possa pensare.

 

C’è un’area, a circa 45 minuti di jeep, che si chiama Bab al Shams e qui è collocato il ritrovo.

 

Qui, da poco, è stata inaugurata per la gioia dei ciclisti, una pista ciclabile di 85 km nel deserto che è abbastanza frequentata dai ciclisti locali che non sanno rinunciare al training nemmeno dove il sole ti spacca in quattro; si dice che da qui partirà il giro d’Italia in una delle prossime edizioni.

 

Il mio compagno d’avventura è il solito Andrea Manetti, residente a Dubai da almeno 15 anni e gran runner conosciuto negli Emirati.

 

La nostra avventura comincia con una sua dichiarazione: “Conosco questo deserto meglio di Livorno”, ovvio che questa frase lascia già presagire che sarà meglio portarsi il GPS, che per altro è obbligatorio.

 

La gara si svolge in due manches da 20km, la prima frazione è notturna con tanto di faretto in fronte.

 

Alla partenza tutti partono subito “a palla”, soprattutto quelli che faranno la 10+10km e noi facciamo una fatica bestiale a stare dietro a loro; più che altro per le sabbie mobili che ogni tanto calpestiamo e qualche ceppo d’erba che sbuca nel buio all’improvviso.

 

Questa prima frazione finisce gloriosamente in crescendo, riesco addirittura a superare una ragazza etiope, non capita tutti i giorni.

 

Finiamo i primi 20 km corsi al buio nel deserto senza perderci e certi di aver fatto un buon tempo, 1 ora e 50 minuti su sabbia e al buio non è male per me.

 

Tempo di riposare qualche ora nella tenda canadese e poi è subito ora di ripartire. L’entusiasmo è alle stelle, si parte per quelli che saranno i 20 km più duri della mia vita.

 

Premetto che, per la prima volta, ho deciso di mettere ai piedi le ghette che teoricamente dovrebbero evitare l’entrata della sabbia nelle scarpe e il cappello con il flap tipico “saharienne”.

 

Dopo il via, comincia subito un’impressionante serie di dune, tutte altre 20 metri, molto ripide sia nella salita che nella discesa. Le gambe sprofondano nella sabbia fino al ginocchio e le scarpe si riempiono subito.

 

Siamo partiti da pochissimo ma le mie gambe già sono in acido, forse per l’accumulo di stanchezza o forse perché a questo sprofondamento non sono abituato.

 

Dopo una ventina di dune e delle spettacolari camminate sulle loro creste, facendo attenzione di non cadere da una parte o dall’altra, si arriva al primo check point. Tolgo badilate di sabbia dalle scarpe e mi levo anche le ghette che tanto non sono servite a nulla.

 

Scopro di avere già un paio di fiacche che cerco di curare ma, sarà per la fase concitata, non sono riuscito nemmeno a mettere un cerotto, in ogni caso perdo un sacco di tempo.

 

Sulla sabbia si vedono le orme sinistre d’animali come l’antilope e scie lasciate dai serpenti sia sulla superficie che sotto la sabbia; a loro piace anche muoversi sotto per nascondersi dagli uccelli rapaci che non mancano.

 

Il gruppo oramai è lunghissimo e io ho perso di vista Andrea che è davanti a me, oltretutto provo anche a correre a piedi nudi e devo dire che non è male finche c’è la sabbia, poi però sul ciottolato si corre il rischio di tagliarsi.

 

Inaspettatamente, la fatica più grande è bere dal camelbak, la borsa dei sali che ho sulle spalle, aspirare dal tubo mentre si corre è uno sforzo immane.

 

Dopo 15 chilometri di saliscendi sulle dune, come fosse un miraggio, arrivano 3 km di pianura sterrata che mi fa rinascere, ma ciò dura poco, perché gli ultimi 2 km sono gli stessi della partenza.

 

Stanco morto e oramai disidratato, con gli avvoltoi che girano sopra la mia testa, scalo le dune aiutandomi con le braccia, da tanto sono ripide. In cima ad ogni duna vedo il traguardo che però non arriva mai.

 

Finalmente arrivo in fondo, sono 16° assoluto in 5h 22’ e sono orgogliosamente Finisher di una gara durissima che consiglio volentieri a quelli che vivono di rendita raccontando di aver fatto dieci maratone di NY.

 

Andrea è 11° e lo ringrazio per la jeep, per la tenda beduina e per la pasta al pesto.

 

Dopo questa fatica, sono sicuro di aver alzato l’asticella del mio limite un po’ più in là. Adesso pensiamo alla prossima, ho già visto nuove sfide tra dune.

 

 

Tutto questo è visibile su ONE TV canale 112 digitale terrestre e su YouTube, cercate la puntata di “EXTREME PEOPLE”.

       

 

Fonte  Ricky Mezzera

Foto di Ricky Mezzera

 

 

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Dubai skyline
Ricky desert runner
     
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