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TECNICA, IL PUNTO CRITICO


Il mercato smentisce le previsioni entusiastiche di questo segmento bike. E intanto, mentre Campagnolo medita su un nuovo gruppo di trasmissione, tra i professionisti emerge una tendenza inattesa: il freno a disco piace a pochi

 Diciamoci la verità, il fenomeno delle gravel bike non ha determinato quel boom che invece in molti si aspettavano nel momento in cui, un paio di anni fa, questo nuovo segmento merceologico della bicicletta fu introdotto.  Questo, almeno, è ciò che è successo in Italia, anche se in realtà anche all’estero, Stati Unitiin primis, queste bici a metà strada tra i modelli da corsa e quelli da ciclocross, hanno fatto registrare volumi di vendita non certo tali da parlare di boom.

 

Ad oggi non ci sono numeri ufficiali sui volumi di vendita delle gravel bike entro i nostri confini ma, parlando con i negozianti, l’incidenza di vendite di questa tipologia rispetto al volume totale delle vendite di biciclette si aggira tra il 5 e il 10 per cento. Chi, dunque, vedeva nel mercato delle gravel bike potenzialità simili a quelle di cui fu capace il fenomeno mountain-bike durante gli anni Novanta è stato decisamente smentito: diversamente da allora, le “gravel” non hanno avvicinato segmenti nuovi di pubblico alla bicicletta, non hanno fatto scoprire una disciplina nuova a gente che fino a ieri le due ruote a pedali le praticava poco o per niente. Con questo non vogliamo certo dire che quello delle gravel bike sia stato un flop oppure che si sia trattato di semplice moda effimera. Tutt’altro, perché sappiamo bene che, entro i nostri confini, si è già formata una discreta fetta di praticanti che utilizzano spesso le gravel bike, ma lo fanno in modo quasi mai esclusivo, ovverosia associano la gravel bike alla loro bici principale che rimane la mountain-bike, e che solo in pochi casi è la bici da corsa.

Questo conferma due verità: la prima è che l’estrazione che ha questa tipologia di bicicletta importata due o tre anni fa dagli Usa è tipicamente fuoristradistica, è a “ruote grasse”; e poi ci ricorda che, nel solco di un mondo della bici oggi sempre più caleidoscopico e multiforme, quello delle gravel bike appare uno dei tantissimi mondi che caratterizzano l’universo “due ruote”.

 

 

C’è infatti il mondo degli stradisti, quello dei mountain-biker (a sua volta  suddiviso negli ulteriori segmenti dei trail-biker, dei racer di XC/marathon, dei downhiller e degli enduristi), poi quello di chi predilige bici da velocità “tipo triathlon”, di chi usa le “scatto fisso”, ancora le bici vintage e poi appunto le gravel bike e per finire le fat-bike. Sì, le fat-bike le abbiamo messe in coda a questa lista perché è davvero questo il caso in cui è corretto parlare di moda effimera più che di tendenza vera e propria.

La destinazione d’uso di una fat-bike è davvero di nicchia, perché bici utilizzabile nel pieno delle sue potenzialità solo sulla neve o sulla sabbia, ovverosia contesti che non giustificano la diffusione che l’industria di mercato aveva provato a “spingere” quattro o cinque anni fa.

Diverso è il caso delle gravel bike: questa è una tipologia di bici poliedrica, che si adatta a moltissimi contesti d’uso e che fa delle propria versatilità il suo punto di forza, e forse anche il suo punto debole. Proprio così, perché lo spettro di utilizzo ampio che assicura una gravel-bike difficilmente si sposa con quello “specialismo” esasperato che oggi tanto ricercano i vari adepti ai diversi mondi a due ruote.

Aggiungiamo, poi, che quei tanti modi di praticare la bicicletta hanno spesso pochi punti in comune, sono poco avvezzi a comunicare tra loro o quanto meno hanno poche zone di contiguità e di interscambio tra di loro.

 

 

 

In un contesto del genere, fatto da una miriade di sfaccettature e tante modalità diverse di praticare il ciclismo, è evidentemente difficile che un segmento nuovo come può essere quello delle gravel bike riesca velocemente a guadagnare fette importanti di praticanti. Ed è proprio in uno scenario del genere che è, ad esempio, più facile comprendere come, a livello globale, la vendita complessiva di biciclette di alta gamma sia in continua ascesa, ma a livello particolare il segmento tradizionalmente più forte rappresentato dalla bicicletta da corsa soffra un po’, con numeri di vendita che per le bici “classiche” sono da due anni in continuo calo per i grandi marchi di settore.

Quel che sta accadendo, infatti, non è certo che la gente non vada più in bicicletta da corsa, ma piuttosto che stia “migrando” verso altri mondi delle due ruote, verso i quali probabilmente resta affascinato; e magari resterà sedotto fino al momento in cui non cambierà nuovamente idea e si affascinerà ancora un’altra volta di un altro mondo…

Campagnolo 2018: grosse novità in arrivo?

«[…] La passione per il movimento ha portato la Campagnolo, negli oltre 80 anni di storia, a diventare esperta in materia. Resta aggiornato su tutte le novità che arriveranno a breve iscrivendoti alla newsletter sul sito Campagnolo e sarai tra i primi a scoprirle… »: questo messaggio un po’ criptico era il contenuto del teaser che Campagnolo ha veicolato lo scorso fine novembre attraverso la sua newsletter dedicata ai suoi clienti e ai suoi appassionati.

Il teaser, che era seguito dall’hastag #MovementByCampagnolo, corredato dalla foto di un paio di mani che agiscono sui meccanismi di un orologio a lancette, onestamente ha destato più di qualche curiosità anche in noi addetti ai lavori, che ci siamo interrogati su cosa questo messaggio potesse significare e su quale nuovo prodotto potesse forse preannunciare.

La curiosità è stata in parte soddisfatta due settimane dopo  quando la Casa di Vicenza ha ufficializzato la sua nuova linea di abbigliamento ciclistico di altissima gamma, che è un segmento che la stessa Campagnolo aveva messo da parte circa dieci anni fa e che effettivamente può rappresentare un segmento importante per un’azienda che vanta un’immagine di marca potentissima, che non può non sfruttare (anche) con un articolo di alta visibilità come è l’abbigliamento.

Ma a nostro avviso il teaser non si riferiva al lancio della Campagnolo Performace Apparel o, meglio, non si riferiva soltanto ad esso: il rimando all’immagine di un orologio meccanico e il testo imperniato sul concetto di “movimento” ci suggeriscono che Campagnolo abbia lavorato su qualcosa di più importante, che con buone probabilità sarà ufficializzato a breve: l’ipotesi a nostro avviso più verosimile è che la Casa di Vicenza si stia preparando a lanciare un gruppo trasmissione tutto nuovo, che fa delle dodici velocità l’aspetto più importante, ma non unico, di tutto il suo patrimonio di innovazione.

Sappiamo per certo, ad esempio, che anche in merito di trasmissioni elettromeccaniche, l’azienda di Vicenza ha pronte tecnologia e sistemi di codifica dei segnali di ultimissima generazione, che hanno poco da invidiare alla componentistica omologa prodotta dai due più importanti competitor della Campagnolo, ovviamente Sram e Shimano. Sarà il tempo a dirci se quello che abbiamo scritto era vero, o semplicemente un semplice abbaglio.

Bici pro 2018: pochi i dischi

Nonostante dall’inizio del 2017 l’Unione Ciclistica Internazionale lasci liberà facoltà ai corridori di scegliere se correre le gare Uci in sella a bici con freni di tipo tradizionale oppure a disco, questa seconda tipologia di impianto frenante fatica ancora a trovare spazio nelle gare pro. Questo, almeno, è quel che emerge a giudicare dalle foto che ci giungono dai ritiri che i team del World Tour stanno effettuando di questi tempi in giro per il mondo.

Le foto ci indicano che i pro-rider che stanno testando bici “disc” sono davvero pochi. Le foto che vediamo si riferiscono proprio a una di queste eccezioni, quella del Bmc-Racing team che nel corso del 2018 dovrebbe correre con leTeam Machine SLR01 Disc utilizzate durante il primo camp a Denia (Spagna). Quel che è certo è che, al giorno d’oggi,tutti i grandi sponsor tecnici al fianco delle squadre World Tour mettono a disposizione dei team che equipaggiano due diversi modelli di bicicletta, uno provvisto di freni tradizionali, uno di freni a disco. Ciò nonostante, a quasi due anni dai primi test effettuati in corsa, c’è ancora una diffidenza generalizzata da parte dei corridori a utilizzare questo standard frenante. Nonostante i progressi della tecnologia e nonostante i progressi in direzione di un’uniformazione degli standard tecnici (praticamente tutte le bici disc destinate ai pro hanno oggi assi passanti da 12 mm di diametro ed hanno una battuta posteriore di 142 mm) l’ostacolo più grosso da superare rimane sempre quellodell’utilizzo “per tutti o per nessuno”.

Sarebbe infatti facilmente immaginabile il caos di un eventuale cambio ruota neutrale che deve gestire un plotone in cui alcuni corridori utilizzano i freni a disco e altri i freni tradizionali. Non da ultimo, una bici “disc” pesa almeno 4 etti in più di una bici con freni tradizionali e, in un contesto di utilizzo “misto”, questo genera una evidente disparità di condizioni, in particolare nelle corse con molta salita. Crediamo allora che soltanto una decisione univoca imposta dall’alto potrà davvero mettere la parola fine a questa infinita querelle tra fautori e detrattori del disco, una decisione che imponga ai corridori di utilizzare tutti quanti bici “disc”, oppure tutti quanti bici tradizionali.

a cura di Maurizio Coccia Copyright © INBICI MAGAZINE

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