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L’ATLETA DEL MESE 3

L’ATLETA DEL MESE



Palmarés alla mano, è uno dei più forti bikers italiani da lunghe distanze di sempre. Nato nel 1968, il bergamasco ha vissuto tutte le epoche della mountain bike, spaziando dal cross-country alle marathon, fino alle corse a tappe in territorio straniero. Atleta completo e grintoso, non disdegna lo sci alpinismo nella cui disciplina riesce talvolta anche a vincere.

 

Marzio Deho, 48 anni e non sentirli. O meglio, non volerli sentire nemmeno per scherzo. Il bergamasco è una vera e propria icona del movimento italiano delle ruote grasse. Ha cominciato a pedalare quando ancora non esisteva la differenza tra cross-country, granfondo e marathon. Capace di battere anche un certo Julien Absalon proprio nell’XC, Marzio è certamente un motore Diesel di altissima cilindrata, oltre che persona dalla semplicità disarmante. Lo abbiamo contattato in agosto mentre era in altura a far girare il suo motore.

 

Marzio, un quarto di secolo, anzi qualcosa in più, in sella alla mountain bike a faticare come un matto in giro per il mondo. Vecchi giornali storici di MTB asseriscono che lei provenga, sportivamente, dall’alpinismo e dal basket: tutto giusto?

Sì, lo posso confermare, ho praticato diversi sport da quando ero ragazzo: dal calcio al basket, oltre ad atletica e sci alpinismo

 

Ricorda la sua prima gara? E la sua prima vittoria?

La prima gara è stata anche la prima volta che salivo su una MTB. Nel 1990 con amici che mi avevano prestato un rampichino (come lo chiamavano allora) ho partecipato ad una gara libera a tutti che si svolgeva vicino a casa, esattamente a Orezzo in Val Seriana. Ricordo la gran fatica ma, nonostante tutto, il risultato fu buono. La prima vittoria, nel 1991, è arrivata al debutto stagionale in una gara svolta su un percorso pianeggiante ad Arzago d’Adda nella pianura bergamasca.

 

Come si fa ad essere competitivi ad alto livello per un periodo così lungo?

Per prima cosa ho avuto la fortuna che il fisico mi ha sempre sorretto. Poi c’è la grande passione sia per la MTB che per l’agonismo. Questo mi ha spinto ad andare avanti per tutti questi anni con tanta dedizione e spirito di sacrificio cercando di essere competitivo in ogni manifestazione.

 

 

Marzio Deho  Credit foto by  Michele Olivato

 

Lei, dall’alto della sua esperienza, è una delle persone più indicate per rispondere a questa domanda: quanto è cambiata la mountain bike rispetto agli indimenticabili anni ’90?

Decisamente è cambiata in tutto, ad iniziare dai mezzi, dove c’è stata una continua evoluzione, dai materiali alle geometrie dei telai, un tempo solo da 26” (acciaio, titanio, alluminio, mentre ora quasi totalmente carbonio) a qualsiasi tipo di componente. Qualche esempio che possiamo ricordare: si è passati dai comandi del cambio a leva per 6/7 velocità alle attuali 12velocità con monocorona, mentre inizialmente sulle pedivelle si montavano 3 corone ovali, senza gli attuali studi per avere una pedalata rotonda ma con un gran punto morto. Dalle forcelle rigide in acciaio alle prime ammortizzate ad elastomeri o a molla per arrivare alle attuali idrauliche con bloccaggio. I pedali erano con la gabbietta prima dell’arrivo dei primi Shimano SPD, ruote solo per camera d’aria per arrivare a tubolari e tubeless e molto altro ancora. Lo spirito e l’approccio a questa nuova disciplina è passata in poco tempo da una semplice passione ad un’attività agonistica vera e propria. Come in tutti gli sport c’è stato un continuo miglioramento della preparazione atletica, con un approccio sempre più professionale, con un costante innalzamento del livello agonistico e una sempre più evoluta ricerca delle massime prestazioni.

 

Ha incominciato così presto, che la MTB non era sport olimpico, poi, proprio quando ad Atlanta le ruote artigliate divennero materia Olimpica, lei incominciò a specializzarsi sulle lunghe distanze (specialità non Olimpica). Non ha qualche rammarico a riguardo?

Da quando ho cominciato a praticare questo sport ho sempre amato le gare su un percorso unico e ho proseguito la mia carriera  su questa linea. L’Olimpiade certamente è il massimo appuntamento a cui un atleta può ambire, nel mio caso è rimasto solo un sogno irrealizzabile.

 

Credit foto by  Newspower.it

 

Eppure, quando ha partecipato ai cross-country, i risultati sono comunque arrivati, come quella volta che a Brescia non lasciò spazio nemmeno ad un certo Julien Absalon…

Nella mia carriera qualche vittoria e risultato nell’XC l’ho ottenuto, incluse partecipazioni a campionati mondiali ed europei, piazzamenti sia ai campionati italiani che a prove internazionali. Ma quella degli Internazionali d’Italia è stata una vittoria speciale, in quanto non volevo nemmeno partecipare ma fui convinto all’ultimo momento dal mio team manager Marino Pizzo. Fu una vittoria inaspettata con una grande prestazione in una gara di alto livello. Il mio massimo risultato, per quel che riguarda il cross country, ricordo che fu una gara molto esaltante fino allo sprint finale con Absalon, anche per il numeroso pubblico presente.

 

Tutti hanno una “bestia nera”. Chi è stato il suo avversario più ostico?

In tutti questi anni non posso dire di avere avuto una bestia nera, ho avuto la fortuna di essermi cimentato con diverse generazioni di biker e con molti di questi sono riuscito a confrontarmi, a vincere o perdere. Posso ricordare negli anni ’90 Mario Noris, mio ex compagno di squadra poi diventato team manager; atleti come Claudio Vandelli, i fratelli Bruschi avversari in tantissime gare, Alessandro Chechuz, i miei concittadini Bramati e Acquaroli, senza dimenticare Massimo De Bertolis e Hannes Pallhuber che sono ancora in sella. Le ultime stagioni fino ad ora, con le nuove generazioni di grandi biker, è storia recente per cui è semplice per tutti ricordare il presente.

E l’atleta che più l’ha impressionata?

 

Il primo biker che mi ha veramente impressionato è stato agli inizi John Tomac, una leggenda. Bellissimi ricordi di quando la disciplina era ancora giovanissima. Oltre a vederlo vincere un mondiale sono pure riuscito a gareggiare insieme a lui in qualche gara di coppa del mondo.

 

Biker di altissimo livello, ma comunque non professionista al 100%. Come si svolgono le sue giornate?

Questa è stata una scelta personale di non dedicarmi a tempo pieno a questa attività. Da parecchi anni sono dipendente presso la PmpBike, azienda specializzata nella produzione di componenti di alto livello del settore ciclo, dove ho la possibilità di dedicare una parte della giornata al lavoro e nell’altra sono libero per potermi allenare, mentre nei fine settimana sono impegnato nelle varie competizioni.

 

 

Marzio Deho  per il secondo anno consecutivo vince  l’Himalayan Highest Ladakh Mtb Race,  la corsa a tappe  più alta del mondo con i 5.602 m.s.l. del Khardung La Pass . Credit foto by  Michele Olivato

 

 

 

A quanto pare lei se la cava bene anche con le pelli di foca in inverno…

Lo Ski Alp è da sempre la mia grande passione nella stagione invernale oltre che un valido allenamento in alternativa alla MTB. Anche qui c’è un grande movimento a livello agonistico e in ogni stagione sono coinvolto a cimentarmi in qualche gara con buoni risultati. 

 

Affascinato dalla strada?

Sì, la strada mi ha sempre affascinato anche se mi sono avvicinato alle 2 ruote come biker. Sin dagli inizi mi sono sempre allenato con i più forti professionisti bergamaschi (gente che ha vinto due Giri d’Italia, come Gotti e Savoldelli), ma purtroppo nei primi anni non l’ho presa troppo in considerazione ed il tempo è passato, un piccolo rammarico per non aver avuto la possibilità di provare nel grande ciclismo.

 

Venticinque anni fa la bergamasca era zona di bikers di altissimo livello. Oggi, nel 2016 le cose sono cambiate?

In effetti in quegli anni Alessandro Paganessi e Mario Noris, vincitori delle primissime edizioni dei campionati italiani, sono stati i pionieri del professionismo nella MTB provenendo dalla strada e per alcuni anni sono stati tra i dominatori. Con Luca Bramati e Dario Acquaroli abbiamo avuto i primi veri professionisti del fuoristrada, mentre negli ultimi 10 anni nella provincia di Bergamo il numero dei biker amatori e appassionati è sempre elevato ma a livello elite il solo Johnny Cattaneo è ancora oggi un azzurro ad alti livelli.

 

Tra due anni le primavere saranno 50, ma a quanto pare l’età non è rilevante per uno come lei. Obiettivamente fino a quando può continuare a pedalare (e vincere)?

Mahh… speriamo il più possibile! Fisicamente mi sento ancora bene, ho sempre tanta passione per questo sport, mi sento ancora competitivo ma sicuramente il 2017 sarà il mio ultimo anno da Elite. Per festeggiare le 50 primavere vedremo di organizzare la partecipazione alla Cape Epic tra i GranMaster, la più grande corsa a tappe del mondo, alla quale non ho mai partecipato.

 

Prima di chiudere, ci regali il ricordo del suo momento più bello, ovviamente a proposito di sterrati.

E’ difficile ricordarne solo uno, possiamo dire per l’XC i già citati internazionali d’Italia, per le corse a tappe fu indimenticabile la Trans Rockies in Canada vinta in coppia con l’amico Johnny Cattaneo, riguardo alle marathon estere la vittoria della Roc d’Azur, in Italia la Dolomiti Superbike ed il primo campionato italiano marathon della storia disputato a Selva di Val Gardena. Come gara sugli sterrati di casa non posso dimenticare una delle gare storiche e inseguita con tanti piazzamenti prima di arrivare al successo come la Speedylonga.

 

A cura di Paolo Mei Copyright © INBICI MAGAZINE

foto 1) deho
foto 2  khardlunga)
foto 3 Himalaya )
Foto 4)  Gruppo
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