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L’ANTEPRIMA: IL RITORNO DI ARGENTIN


Dopo anni di assenza, l’iridato di Colorado Springs torna nel grande circo del professionismo organizzando, a fine giugno, una nuova corsa a tappe con partenza da Venezia.

Dalle imprese di ieri ai campioni di oggi, storia di un fuoriclasse con tanti bei ricordi e un piccolo rimpianto: “Ai miei tempi esistevano solo Moser e Saronni…”

 

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In carriera ha vinto (quasi) tutto: un Mondiale, quattro Liegi, un Fiandre e quindici tappe tra Giro e Tour. Eppure, dopo aver appeso la bicicletta al fatidico chiodo, Moreno Argentin – uno dei corridori italiani più vittoriosi degli anni ’80 – ha tirato una riga sul mondo del ciclismo.

Malgrado le offerte ed i progetti – alcuni anche ambiziosi – ha rifiutato incarichi ed ammiraglie, preferendo voltar pagina per mettersi alla prova su altri palcoscenici.

E’ diventato così un imprenditore edile di successo, investendo nel mattone i guadagni di una vita. E gli è andata bene.

Da qualche tempo, però, l’idea di un ritorno nel mondo del ciclismo ha cominciato a solleticarlo. E così, passo dopo passo, si è inventato un progetto che promette di diventare – dopo Giro d’Italia e Trentino – “la più importante corsa a tappe dello Stivale”.

“E’ un progetto che, per scelta, non abbiamo ancora presentato pubblicamente – spiega Argentin – preferendo lavorare sotto traccia. Però non è più soltanto un’idea sulla carta: abbiamo già tutti i permessi dell’UCI e almeno il 50% delle coperture economiche necessarie. Pertanto, partiremo già da quest’estate, probabilmente dal 20 al 25 giugno”.

Ancora top secret molti dettagli dell’iniziativa, anche se pare scontata la partenza da Venezia per una corsa a tappe che, per questa prima edizione, spigolerà tra la Serenissima, il Friuli ed i Balcani, ma che in futuro dovrebbe lambire altre località europee, come l’Albania e la Grecia ad esempio: “Vorremmo esportare il grande ciclismo in quei paesi che, per questioni geopolitiche, sono sempre stati un po’ ai margini del World Tour – prosegue Argentin – e all’aspetto agonistico ci piacerebbe agganciare anche un appello alla comunione e alla solidarietà fra popoli perché anche il ciclismo, che è uno sport con un seguito planetario, può diventare uno straordinario mezzo per diffondere messaggi culturali”.

Sul piano agonistico, invece, saranno al via diciotto squadre, fra cui sei team del World Tour: “Partiamo in corsa – conclude l’iridato di Colorado Springs – ma con i permessi dell’UCI già accordati non possiamo rinviare più nulla. Sarà un debutto, un numero zero, una corsa a tappe che, nei nostri progetti, dovrebbe diventare un appuntamento annuale sempre più importante”.

Ma ai primi refoli di primavera, parlando con Moreno Argentin, il discorso non può non declinare dolcemente verso le grandi classiche del nord, quelle che il campionissimo di San Donà ha sempre interpretato con la classe e la personalità del favorito.

Moreno Argentin con la maglia di campione del mondo 1986 Colorado Springs – foto Getty Images

 

Moreno, perché i corridori italiani non vincono una classica da così tanti anni?

“E’ un problema generazionale, anche se, nei grandi giri, con Nibali ed Aru, abbiamo interpreti di valore mondiale. La madre di tutti i problemi, in ogni caso, mi sembra la mancanza di squadre italiane, quelle nelle quali, ai miei tempi, i nostri giovani crescevano nella maniera più corretta diventando, anno dopo anno, dei corridori vincenti”.

Chi vede favorito per la prossima Sanremo?

“Dopo due secondi posti dico Sagan che oggi mi pare il corridore più spettacolare. La Sanremo è una corsa con tante incognite, ma se lo slovacco è in giornata non si batte”.

E per le classiche del Nord?

“Ho visto pedalare alla grande un certo Valverde che, come il vino, migliora col passare degli anni. Non so dove e non so come, ma ho la sensazione che in primavera qualcosa vincerà”.

Moreno Argentin vince la Liegi nel

 

Secondo la mentalità italiana, un corridore per essere un campione da tramandare ai posteri deve vincere almeno un Giro o un Tour. Lei si è mai sentito penalizzato?

“In parte sì perché credo comunque di aver vinto tanto in carriera, anche se non avevo le caratteristiche per impormi in una grande corsa a tappe. Però, prendiamo uno come Saronni: ha vinto un Giro, ma all’estero, a parte il Mondiale, non ha mai fatto grandissime cose. Eppure ha sempre goduto di una stampa benevola, probabilmente favorito anche dalla rivalità con Moser, un altro che – Roubaix a parte – fuori dall’Italia non è mai stato un gigante. Ma ai miei tempi, piaccia o no, il ciclismo italiano viveva solo sul loro dualismo. Mentre di noi che vincevamo le Liegi si ricordavamo in pochi”.

Lei è stato compagno di squadra di Davide Cassani. Che voto dà al Commissario tecnico della nostra nazionale?

“I voti si calibrano in base ai risultati e bisogna dire che l’Italia non vince una medaglia ai mondiali da tanti, troppi anni. In più di un’occasione abbiamo corso in modo sbagliato, lasciando a casa corridori che avrebbero potuto fare bene. E’ apprezzabile il lavoro che Davide sta facendo con i giovani, ma l’Italia è una superpotenza del ciclismo e questo digiuno di risultati, onestamente, comincia a diventare imbarazzante”.

a cura di Mario Pugliese Copyright © INBICI MAGAZINE

 

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